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Vibo, processo Trailer fee: è tutto da rifare. Si riparte da Palmi

Tutto da rifare. Il processo scaturito o dall'operazione "Trailer fee" (Tassa di rimorchio) su episodi di estorsione con il cosiddetto "cavallo di ritorno" torna alla fase delle indagini preliminari. Ciò perché il Tribunale collegiale di Vibo (presidente Grillone, giudici Ricotti e Miele) ha accolto l'eccezione di incompetenza territoriale avanzata dal collegio difensivo dei sei imputati. Eccezione che era stata già proposta in udienza preliminare e in quella stessa sede rigettata. In pratica la difesa ha sostenuto la competenza del  Tribunale di Palmi in quanto la prima dazione di danaro sarebbe avvenuta nel territorio di Rosarno. Il Tribunale ha dunque disposto la restituzione degli atti alla Procura presso il Tribunale di Palmi con conseguente regressione del processo alla fase delle indagini preliminari.

Gli imputati, coinvolti nell'operazione "Trailer fee", scattata nell'aprile del 2021, sono accusati, a vario titolo, di estorsione e tentata estorsione, ricettazione e detenzione di arma da fuoco. Si tratta di Pietro Giuseppe Bellocco, 39 anni di Rosarno, personaggio che gli inquirenti indicano imparentato con la potente famiglia di ’ndrangheta operante a Rosarno e da sempre alleata con i Mancuso di Limbadi;  Angelo Bartone, 47 anni di Paravati, frazione di Mileto; Rocco Restuccia, 45 anni e Giovanni Sesini di 32, entrambi di Rosarno.;  Domenico Bartone, 54 anni di Paravati e Antonio Cacciola, 41 anni, di Rosarno.
Imputati difesi dagli avvocati: Tommaso Zavaglia, Giosuè Monardo, Nicola Riso e Franco Iannello. A dare il via alle indagini fu  il furto di un autoarticolato in uso a Enzo Iannella, dipendente di una ditta di Avellino (la “Ad Logistica”, proprietaria del mezzo), avvenuto ad opera di ignoti tra il 9 e l’11 maggio del 2020 in località Piano di Bruno, alla periferia di Mileto, tra l’altro a poche centinaia di metri dalla Stazione dei carabinieri. Prima di presentare denuncia, la vittima  fece  di tutto per poter riavere il suo mezzo attraverso il pagamento di un corrispettivo a quanti si sarebbero adoperati per il ritrovamento del rimorchio. Una vera e propria organizzazione all’interno della quale ogni componente  avrebbe avuto  un compito specifico e il cui scopo sarebbe stato  quello di spillare soldi alla vittima del furto, costretta a pagare all’incirca 3 mila euro con la speranza di poter riavere l’autoarticolato, cosa peraltro mai avvenuta.
I soldi, secondo quanto all'epoca emerso  sarebbero stati consegnati in tre tranche attraverso intermediari a Pietro Giuseppe Bellocco, il quale avrebbe dovuto provvedere a fare restituire il mezzo. Ma quando la vittima si accorse  che nonostante il pagamento lo scopo non era stato raggiunto, allora trovò il coraggio per denunciare tutto ai Carabinieri.

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