Antonella Franza è nata con tante problematiche di salute invalidanti. Non ha avuto un incidente che le ha cambiato la vita, ma ha dovuto combattere giorno dopo giorno non solo con la disabilità, ma anche per affermare i propri diritti. La sua è stata una lotta spesso silenziosa e sommessa, con la dignità che da sempre la contraddistingue.
Ha lavorato, nonostante l’infermità, e molti la ricordano alla ex Standa alla cassa o nei vari reparti. Da anni è ormai su una sedia a rotelle, assistita dal figlio Francesco e dal marito, entrambi disoccupati. Il nucleo familiare si regge sulla sola pensione di invalidità di Antonella, che percepisce mille euro al mese. Soldi che non sono sufficienti neppure per il cibo e i farmaci. La donna, infatti, oltre ad essere affetta da nanismo congenito con deformità della gabbia toracica, ha un piede torto, è sorda, ha un declino cognitivo con disturbi del comportamento, ha avuto diverse ischemie e in aggiunta soffre di diabete con segni di retinopatia. Antonella ha, quindi, necessariamente bisogno di un accompagnatore, infatti, non è autonoma e deve essere assistita h24.
Eppure l’Inps, nel leggere le certificazioni mediche, ha ritenuto opportuno di non concederle l’assegno di accompagnamento, senza neppure visitarla. Umiliante e non solo, per una donna che avrebbe certamente preferito avere la salute, piuttosto che chiedere la miseria dell’accompagno. «Ma forse – commenta la sorella Giovanna che vive a Milano – a Vibo bisogna essere sani per percepire determinati sussidi». E sì, perché «una sanità degna di questo nome, in un sistema che dovrebbe basarsi, principalmente, sul rispetto della dignità della persona, specie se è in condizioni di grave disagio psicofisico, dovrebbe riconoscere il diritto, a chi ne ha bisogno, di condurre un’esistenza dignitosa».
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