Da più di qualche anno, ormai, un nuovo precariato si è evoluto e affermato in tutta la regione Calabria. Un precariato nuovo, differente da quello cosiddetto “storico”, tra le cui fila comparivano Lsu-Lpu e tutte le altre sigle confluite nel bacino del precariato istituzionalizzato e storicizzato della Regione Calabria: legge 15, legge 31, legge 40, legge 28, legge 12. Lavoratori che però, analogamente ai loro “colleghi di precarietà”, oggi fremono, scalpitano quasi, nel chiedere risposte in fatto di sicurezza e continuità lavorativa. Sono i cosiddetti tirocinanti, lavoratori per lo più provenienti dalla ex mobilità in deroga, ma anche disoccupati di lungo corso, che negli ultimi anni sono riusciti in qualche modo a prestare la loro attività attraverso i vari tirocini formativi attivati presso gli enti pubblici e privati.
Partiti con un numero complessivo di circa 7mila unità sparse su tutto il territorio regionale – quasi 1000 per la sola provincia vibonese – oggi in quasi 4mila hanno potuto continuare, da novembre dello scorso anno, la loro attività lavorativa aderendo ai Tis, ovvero il Tirocinio di inclusione sociale, lo strumento grazie al quale la Regione Calabria, di concerto con le parti sociali, ha individuato il modo per permettere ai tirocinanti di poter continuare il loro percorso per ancora un anno. Ora però, con il prossimo autunno alle porte, la scadenza di tale percorso si fa imminente, e con esso anche la fine di un impiego – se così si può definire – retribuito con poco più di 500 euro mensili, per molti unica fonte di reddito. La richiesta, dunque, da parte dei tirocinanti sembra essere una e una soltanto: avviare anche per loro un percorso di stabilizzazione. Ma le cose non sembrano essere così semplici da attuare.
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