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Catanzaro, senza nessun diritto e assistenza medica: i clochard continuano a essere invisibili

Storie di ordinaria emarginazioni in un capoluogo troppo poco attento

Chi a Catanzaro non ricorda “Jejè”? Il piccolo e buono ragazzo di nome Bruno che tutti chiamavano teneramente “Jejé” perché era il solo intercalare che utilizzava per comunicare con chi gli dimostrava affetto. Portava delle buste piene di altre buste e girovagava per la città con il suo immancabile ombrello nero che portava attaccato sull’avambraccio anche in piena estate. Occupava sempre i soliti posti. I gradini della chiesa dell’Immacolata rappresentavano il suo ristoro preferito. Jeje non era un senza tetto, perché lui una casa ce l’aveva nel rione Piano Casa, ma per anni è stato l'emblema cittadino del disagio e, il suo modo di fare, ci imponeva la necessità di essere considerato una "persone" prima che un reietto della società.
A Catanzaro gli invisibili continuano ad essere sempre meno riconosciuti come cittadini con pari dignità e diritti. Essere senza tetto significa decadere dalla residenza che, a propria volta, comporta perdere una serie di diritti legati proprio allo status di residente. E, chi non ha residenza non può ricevere prestazioni da parte del Servizio sanitario nazionale, ad eccezione di quelle fornite dal pronto soccorso. Un senzatetto non può rinnovare la propria carta d’identità, quindi, non può essere rintracciabile. Ragion per cui, con molta probabilità, i clochard presenti in città non sono stati vaccinati, come probabilmente non sono state predisposte equipe dedicate a queste persone per la somministrazione della dose unitaria di vaccino anti-Covid Johnson, così com’è successo in altre città.

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