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Caminia di Stalettì, il Comune ha ragione. I giudici del Tar spiegano perché

Analizzati i punti cardine della vicenda che ha portato alle demolizioni. Al centro il nodo della proprietà dell’area che i residenti non hanno mai voluto riconoscere come zona demaniale

Un nuovo tassello si aggiunge nella complicata situazione di Caminia. La vicenda giudiziaria legata al sequestro dei manufatti etichettati come abusivi dalla Procura della Repubblica di Catanzaro, si arricchisce di elementi su cui valutare le reali possibilità degli occupanti delle case di evitare nuove demolizioni. Le speranze rimanevano appese alla possibilità di ottenere una sanatoria edilizia, l’annullamento dell’ordinanza di demolizione e una rivalutazione dell’istanza di condono edilizio presentata nel 1986. Il Tar le nega, motivando nel dettaglio le sue decisioni. I giudici rispondono ai tre punti cardini contenuti nel ricorso, tra cui la disquisizione sulla proprietà dell’area che i ricorrenti non consideravano demaniale.
«Per una migliore comprensione della controversia - si legge nella sentenza - si premette che il terreno sul quale è stato realizzato il manufatto di cui è causa, era stato oggetto (previa delibera del Consiglio comunale di Stalettì risalente agli anni ‘60) di un bando pubblico che invitava i cittadini a occupare una porzione di fondo, asseritamente di proprietà comunale, posto a valle della ferrovia, compreso tra la linea ferrata e la spiaggia, valutato in complessivi 5.706,58 metri quadrati, in attesa di procedere a lottizzazioni e, quindi, a cessione a titolo oneroso del suolo. Successivamente era, tuttavia, insorta una controversia tra l’amministrazione statale e l’ente territoriale circa la natura demaniale della predetta area.

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