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Vibo, i nuovi equilibri nel clan Mancuso tra inchieste, incognite e boss in libertà

Dopo l’ennesima indagine chiusa restano gli interrogativi e gli incroci pericolosi. Il tentato omicidio di Signoretta e i rapporti tra le varie articolazioni

Chiusa l’ennesima inchiesta sul Vibonese – quella sul tentato omicidio di Dominic Signoretta, avvenuto nel maggio del 2019 a Ionadi – restano gli interrogativi sui nuovi equilibri all’interno del clan Mancuso su cui, senza dubbio, sono alte le antenne investigative della Dda di Catanzaro. Nel contestare a quattro persone – i principali indagati sono Antonio Campisi e Rocco Molè – la partecipazione all’agguato fallito contro colui che è considerato il braccio destro di Pantaleone Mancuso (“l’Ingegnere”) e del figlio Giuseppe Salvatore, la Procura antimafia guidata da Nicola Gratteri ha ipotizzato l’aggravante mafiosa considerando il delitto come mirato ad «agevolare e rafforzare (anche attraverso lo scambio di favori omicidiari) la rete di alleanze costituita dalle articolazioni di ‘ndrangheta (tra cui i Piscopisani e gli Emanuele), avverse ai Mancuso di Limbadi – alla quale originariamente il Campisi era contiguo e da cui si è allontanato a seguito dell’omicidio del padre».

I Campisi – Antonio è figlio di Domenico, broker della coca ucciso nel 2011, e nipote di Pino, arrestato a Roma dopo un periodo di latitanza – erano storicamente vicini al ramo dei Mancuso capeggiato da Giuseppe “Mbrogghia”, boss ritenuto in passato a capo dell’ala militare, di recente tornato in libertà dopo oltre vent’anni al 41 bis. Signoretta, secondo il pentito Arcangelo Furfaro, avrebbe ucciso Campisi (padre) assieme a Giuseppe Salvatore Mancuso, su mandato dei due Pantaleone, “l’Ingegnere” e “Scarpuni”. Con l’ipotesi per cui l’agguato a Signoretta sia riconducibile a una vendetta si incastrano altre circostanze emerse da fatti e inchieste degli anni scorsi. Nel novembre del 2019, per esempio, Antonio Campisi fu arrestato in una casa di Gerocarne dove, secondo gli inquirenti, stava preparando un agguato. Poco dopo Giuseppe Salvatore Mancuso fu catturato a Zaccanopoli: aveva con sé un fucile di precisione e, durante la latitanza sarebbe stato aiutato, tra gli altri, da Walter Loielo, oggi pentito della famiglia delle Preserre rivale degli Emanuele.

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