«La sentenza impugnata ha rilevato la situazione di squilibrio finanziario che ha ritenuto provata sulla base delle risultanze istruttorie e attraverso una motivazione in fatto logica e coerente non sindacabile in sede di legittimità». Così si è espressa la Corte di Cassazione rigettando il ricorso dell’ex consigliere regionale Claudio Parente che aveva impugnato la sentenza emessa dalla Corte d’Appello al termine del processo sul fallimento dell’Us Catanzaro. Con sentenza del 6 aprile 2021, la Corte di appello di Catanzaro aveva parzialmente riformato la sentenza pronunciata in data 26 ottobre 2018 dal Tribunale di Catanzaro nei confronti di Parente, dichiarando estinto per intervenuta prescrizione il reato a lui ascritto e revocando le sanzioni accessorie, confermandola nel resto quanto alle spese e alle statuizioni civili in favore della curatela fallimentare. Più in particolare in primo grado dei sei imputati che erano accusati, a vario titolo, di truffa aggravata per il conseguimento di fondi pubblici e bancarotta fraudolenta era stato condannato (dopo la riqualificazione dell’ipotesi in un reato minore) a 1 anno e 10 mesi solo Parente, pena sospesa e non menzione nel casellario giudiziario. Il tribunale civile, sempre nel 2018, il Tribunale civile di Catanzaro ha condannato gli ex amministratori dell'Us a restituire le somme alla curatela fallimentare. In particolare i giudici hanno condannato l'ex presidente del Catanzaro Parente a restituire 181.841,92 euro.
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