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Muore a Vibo la mamma di Maria Chindamo: non ha mai smesso di cercare la verità

È morta all’ospedale «Jazzolino» di Vibo Valentia Pina De Francia, mamma di Maria Chindamo, la giovane imprenditrice e commercialista di Laureana di Borrello (Rc) rapita e scomparsa la mattina del 6 maggio 2016 dinanzi al cancello della sua azienda agricola di Limbadi, nel Vibonese. Un rapimento ed un caso rimasto ad oggi impunito, con la Procura di Vibo che ha ipotizzato l’omicidio della donna indagando il proprietario della tenuta agricola dinanzi a quella della Chindamo, accusato di aver manomesso le sue telecamere per favorire i rapitori. Un’accusa che non ha però retto al vaglio dei giudici della Cassazione che hanno stabilito, esaminando diverse perizie, che le telecamere non erano state manomesse.
La signora Pina De Francia due settimane fa aveva avuto una lieve ischemia successiva a una polmonite. Per due settimane all’ospedale di Polistena (Rc) la diagnosi è stata però rimandata in attesa della riparazione di un apparecchio medico guasto. Ieri, quindi, il trasferimento in ospedale Vibo per effettuare la risonanza, ma era ormai troppo tardi. Il dolore per la tragedia della figlia aveva profondamente segnato Pina De Francia, alla continua ricerca in questi anni - insieme all’altro figlio Vincenzo ed ai familiari - di verità e giustizia per la sua Maria con continui appelli pubblici a rompere il muro dell’omertà e far ritrovare almeno il corpo della figlia.

Secondo il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente (che riporta i racconti del Emanuele Mancuso con il quale ha condiviso un periodo di detenzione), il corpo di Maria Chindamo sarebbe stato triturato in campagna con un trattore oppure dato in pasto ai maiali poiché un confinante - un pregiudicato ritenuto vicino al clan Mancuso, arrestato per la manomissione delle telecamere ma poi scagionato dal Tribunale del Riesame e dalla Cassazione - avrebbe voluto così punirla per il rifiuto della donna a cedere i propri terreni. Era stata ipotizzata anche la vendetta dei familiari del marito della donna che si è suicidato il 6 maggio 2015 dopo le pratiche di separazione dalla moglie. Il caso è ora da circa due anni finito sul tavolo della Dda di Nicola Gratteri che, alla luce delle dichiarazioni dei collaboratori Cossidente e Mancuso, indaga su un coinvolgimento nel delitto da parte della criminalità organizzata.

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