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I clan crotonesi interessati al commercio degli animali vivi

Il retroscena emerge dell’inchiesta “Krimata”, coordinata dalla Dda, che fatto luce su un presunto giro di false fatturazioni

C’è il boss di Papanice Mico Megna, così come le altre cosche del Crotonese. I clan della provincia pitagorica erano pronti a mettere le mani sul commercio degli animali vivi da macello con l’obiettivo di evadere l'Iva. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta “Krimata” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Si tratta dell’operazione scattata lo scorso 19 gennaio con l’esecuzione di sei misure cautelari da parte della Guardia di Finanza di Crotone, che avrebbe fatto luce su un presunto giro di falsa fatturazione – con al centro le società del gruppo Marrelli – che per gli inquirenti (ma non secondo il gip che ha escluso l’aggravante mafiosa) sarebbe avvenuto all’ombra del locale di ’ndrangheta degli Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. E così, sotto la lente delle Fiamme gialle è finito il business delle carni che un 60enne imprenditore di Isola, in difficoltà economica, avrebbe voluto mettere in piedi per restituire il denaro avuto in prestito. A maggio 2019, quindi, è lo stesso imprenditore che spiega a Mario Esposito (arrestato in “Krimata” e ritenuto contiguo alla cosca isolitana) di aver «contattato» e «incontrato» tramite un intermediario «zio Mì», ossia Mico Megna (non indagato in questo procedimento), «per proporgli» l’affare che però non andò in porto.

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