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'Ndrangheta e Covid, acquisivano e portavano al fallimento società: 6 arresti. Coinvolta Vibo

Sei persone, presunte appartenenti ad un'associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati di natura economica e che avrebbero agevolato cosche di 'ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo (Varese) e Vibo Valentia, sono state arrestate stamani dai finanzieri dei Nuclei di Polizia Economico-Finanziaria di Varese e Milano, in un'inchiesta della Dda milanese coordinata dai pm Alessandra Cerreti e Silvia Bonardi. Dalle indagini è emerso che i clan avrebbero avuto "interessi ramificati nel settore della sanità lombarda, in relazione alle attività connesse all'emergenza sanitaria da Covid 19, con particolare riferimento a forniture di materiale sanitario ed esecuzione di tamponi da parte di soggetti a ciò non professionalmente autorizzati". La presunta associazione per delinquere acquisiva società in crisi "che, una volta entrate nella sfera di operatività dell'organizzazione, venivano portate al fallimento non prima di averne completamente depauperato il patrimonio in danno dei creditori, primo fra tutti l'Erario, nei confronti del quale le imprese si sono rese inadempienti in merito agli obblighi dichiarativi e di pagamento delle imposte dovute".

Nelle indagini, svolte anche dal Nas dei carabinieri di Milano, sono state ricostruite "operazioni distrattive di denaro, per oltre 4 milioni di euro, dai conti correnti di tre società dichiarate fallite dai Tribunali di Milano, Bergamo e Monza". Somme che, spiegano gli investigatori, "sono state successivamente drenate a favore di altre imprese del gruppo, anche localizzate in territorio estero, sotto forma di pagamenti di fatture per operazioni inesistenti". Uno dei presunti capi dell'associazione per delinquere avrebbe "agevolato le locali" di 'ndrangheta "di Lonate Pozzolo e Vibo Valentia, "contribuendo al mantenimento finanziario di elementi di spicco delle stesse associazioni e dei loro familiari, nonché procurando falsi contratti di assunzione a familiari delle citate locali".

L'intercettazione: «Svuota perché se cado io cade tutto»

«Svuota, svuota perché tanto se cado io cade tutto il Filisteo eh, Sansone e tutti i Filistei». Così parlava, intercettato, Enrico Barone, 54 anni, uno dei sei arrestati nell’inchiesta della Dda di Milano su persone vicine a cosche di 'ndrangheta di Legnano-Lonate Pozzolo (Varese) e Vibo Valentia e che ha fatto emergere anche presunte infiltrazioni dei clan in ambito sanitario. Stando alle oltre 170 pagine dell’ordinanza del gip Tiziana Gueli, Barone e Maurizio Ponzoni sarebbero stati i capi della presunta associazione per delinquere: si occupavano di "pianificare e dirigere tutta la struttura con la quale vengono posti in essere i reati di natura economico finanziaria». Un gruppo che sarebbe stato «in grado di generare ingenti profitti illeciti che sono stati impiegati anche per fornire aiuti finanziari a famiglie di soggetti già condannati» per associazione mafiosa o «comunque contigui ad organizzazioni di 'ndrangheta». La Dda, però, aveva chiesto 18 misure cautelari in carcere, mentre il gip ha disposto il carcere solo per due persone, Barone e Ponzoni, e gli arresti domiciliari per altri quattro. Escludendo dall’ordinanza, tuttavia, molti capitoli dell’indagine, tra cui quelli che riguardano il medico Cristiano Fusi e il presunto 'uomo cerniera' Gianluca Borelli (per entrambi è stata respinta la richiesta di custodia in carcere) e con al centro i tamponi e le forniture nel settore sanitario. La «esposizione verrà limitata ai fatti di maggiore gravità», scrive il gip, «riguardanti i reati di bancarotta fraudolenta», l'associazione per delinquere con l’aggravante dall’agevolazione mafiosa e una «tentata estorsione aggravata», mentre «non verrà analizzata nel dettaglio Ia parte relativa ai reati di intestazione fittizia, reati fiscali, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione».

«La richiesta cautelare - scrive il giudice - interviene a distanza di tempo dai fatti, collocati negli anni 2018, 2019 e 2020, cui deve aggiungersi il tempo intercorso per la valutazione della vicenda da parte di questo giudice». Da qui, per il gip, l’assenza di esigenze cautelari per giustificare gli arresti su tutte le altre imputazioni e per gli altri indagati. Altre 38 pagine di capi di imputazione, infatti, sono state escluse dall’ordinanza e allegate a parte. Solo in alcune pagine dell’ordinanza esce il nome di Gianluca Borelli. Un’intercettazione, ad esempio, fa riferimento a una grossa cifra in contanti, ossia «1,5 milioni» di euro, che Barone avrebbe dato, ma solo in parte, a Borelli per «preparare tutte le ditte». Borelli, con condanne in passato, avrebbe "ottenuto l’affidamento in prova» presso un’azienda "riconducibile a Barone». In un capo di imputazione per estorsione, poi, è indagato, con Barone, anche Carlo Ritrovato, il quale intercettato diceva di aver fatto «35 anni di galera» e di essere «accusato di plurimi omicidi». Anche questa contestazione, però, non ha portato a misure cautelari.

 

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