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Le famiglie Mancuso e Bonavota: dai contrasti alle alleanze tra clan

L’evoluzione delle dinamiche della ’ndrangheta vibonese ricostruite dai pentiti

I carabinieri a Sant'Onofrio e, nel riquadro, Pasquale Bonavota

Quello che un “cartello” di cosche tentò di fare nei primi anni 2000 è ormai consegnato alla storia della ‘ndrangheta vibonese. Se ne fa menzione nelle motivazioni della sentenza dell’abbreviato di “Rinascita Scott”: alla base di una sequenza «impressionante» di omicidi e tentati omicidi avvenuti in quegli anni ci sarebbe il «tentativo di una frangia della criminalità» locale di «affrancarsi dall’egemonia esercitata dai Mancuso sul loro territorio». Torna invece attuale, dopo l’arresto del superlatitante di Sant’Onofrio Pasquale Bonavota, l’evoluzione successiva delle dinamiche interne alla ‘ndrangheta della provincia.
I santonofresi sono stati sempre inseriti nell’alleanza di clan che comprendeva il gruppo autonomista di Vibo guidato da Andrea Mantella, il clan dei Piscopisani, gli Emanuele nelle Preserre e i Vallelunga nelle Serre. «I Bonavota – scrive il giudice Claudio Paris – hanno aderito al progetto, sostenuto dai gruppi criminali ostili ai Mancuso, di eliminare il sanguinario Mancuso Pantaleone, inteso “Scarpuni”, senza che tuttavia tale progetto abbia trovato effettivo compimento perché lo stesso Mancuso era stato dapprima arrestato, dopodiché, una volta scarcerato, si era accordato con i propri avversari per la pacifica spartizione del territorio (situazione, questa, che ha rappresentato il preludio dell’attuale periodo di pacifica convivenza e collaborazione di tutte le cosche del Vibonese, sotto la sapiente guida di Luigi Mancuso)».
I Bonavota sarebbero, secondo il pentito Vincenzo Albanese, l’unica famiglia vibonese, oltre ai Mancuso, “riconosciuta” a Polsi. Il collaboratore Raffaele Moscato ha riferito che «si è sempre detto negli ambienti criminali che i Bonavota, nel Vibonese, sono quelli che hanno più legami di tutti con le altre famiglie, più dei Mancuso».

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