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Omicidio Tersigni a Crotone, il killer “ha sparato per uccidere”

Depositate le motivazioni del processo di secondo grado terminato con cinque condanne e un’assoluzione

Il luogo dell'agguato in cui è rimasto ucciso Giovanni Tersigni

Cosimo Berlingieri, il killer di Giovanni Tersigni, «ha sparato col chiaro intento di uccidere». Lo scrive la Corte d’Appello di Catanzaro nelle motivazioni della sentenza con la quale, il 22 novembre 2022, ha inflitto cinque condanne, e deciso un’assoluzione, per l’agguato costato la vita al 36enne crotonese ferito mortalmente in piazza Albani il 7 settembre 2019. Per questo i giudici hanno confermato a carico dell’assassino la stessa pena – 20 anni di carcere - comminata il 7 settembre 2021 al termine del procedimento abbreviato di primo grado. Infatti, osserva il collegio, «la volontà omicida» di Berlingieri emerge da cinque fattori: dal «numero di colpi esplosi (cinque)»; dalle parti del corpo «attinte dai proiettili», ossia «addome e pelvi»; «dall’esplosione dei colpi a distanza ravvicinata», circa mezzo metro; dalla «posizione di inferiorità della vittima rispetto all’aggressore, derivata dal ferimento iniziale degli arti»; e «dall’aver esploso ancora un colpo – a mo’ di colpo di grazia – quando la vittima era ormai riversa a terra e, quindi, le sue condizioni erano già precarie se non addirittura critiche». Invece, come rivelato dal collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, il mandante del delitto condannato a 11 anni e 4 mesi di reclusione, non sarebbe stata intenzione del commando uccidere Tersigni. «Fu utilizzata, nonostante le mie perplessità – le parole del pentito agli inquirenti – un’arma corta calibro 7 nella mia disponibilità, al solo fine di attingere Tersigni in parti non vitali del corpo». Tant’è che l’obiettivo del gruppo – ha ricordato anche la Corte d’Appello - «era la gambizzazione della vittima» per dissidi legati allo spaccio di eroina nel centro storico di Crotone. «Peraltro – si legge nella sentenza – se appare ragionevole ritenere che in origine l’agguato ai danni» del 36enne «non avesse come fine diretto la sua morte», è «altrettanto certo che tutti gli imputati hanno agito con coscienza e volontà di cagionare alla vittima quantomeno gravi lesioni» come «conseguenza della gambizzazione».

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