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Droga a Vibo, le “soffiate” sulle tonnellate di coca nella nave portacontainer

Emergono nuovi particolari dall’inchiesta Maestrale-Carthago. Dettagli su operazioni e notizie: così il capocosca veniva informato

Lo spyware installato sul telefono in uso a un presunto capo ‘ndrina del Vibonese ha rivelato «importanti elementi circa la rete di contatti ed informatori di cui può disporre il sodalizio». In particolare, secondo la Dda di Catanzaro, «si è accertato che lo stesso, oltre a godere di appoggi nel panorama criminale ‘ndranghetistico del Vibonese, del Reggino e di altre zone della Calabria, può contare – si legge nelle carte della recente inchiesta “Maestrale Carthago” – sull’appoggio di persone insospettabili ed “apparentemente” oneste le quali non disdegnano di fornirgli informazioni riservate circa eventuali operazioni di Polizia». Il capo ‘ndrina aveva saputo in “anteprima” che erano state individuate oltre 2 tonnellate di cocaina su una nave e, evidentemente pensando che lui potesse averne delle conseguenze, qualcuno lo aveva fatto avvisare affinché si rendesse irreperibile.

Emerge da una conversazione in cui il presunto capocosca commentava con un altro indagato alcuni arresti eseguiti nel corso di un’operazione contro il narcotraffico: «Ma io già lo sapevo! te l'aveva detto lui? (...) mi ha chiamato l'altra sera (...) eh… io l'ho saputo subito!... mi hanno detto “c’è una grossa retata giù in Calabria… a Vibo!”». Continuando a parlare i due lasciavano trapelare di essere a conoscenza di notizie in quel momento «riservatissime»: sapevano che una nave portacontainer, al cui interno c’erano 1801 panetti di cocaina (per circa 2100 kg) proveniente dal Sud America, era stata bloccata dalla Guardia di Finanza» in un porto italiano su disposizione di una Procura antimafia.
L’indagato, che si trovava proprio nella località dove la nave era ferma, quindi «provvedeva ad avvisare le cellule di ‘ndrangheta calabresi» contattando sia il capo ‘ndrina che il suo presunto boss di riferimento. Ma specificava «di non averlo fatto con telefoni a lui riconducibili o dei propri familiari», ma di aver chiamato dal telefono di una cameriera di un bar a cui lo aveva chiesto in prestito. «Comunque non scappa “un marvizzo”», si vantava l’indagato.

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