Venerdì, 02 Giugno 2023
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MAESTRALE-CARTHAGO

Limbadi, la paura dei pentiti e la fuga nel garage: «A noi ci tocca pure»

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Dalle carte dell’inchiesta continuano ad emergere particolari sulla diffusione di notizie e sui timori dei clan

«Minchia quanto sta parlando quello... oh Michele! La televisione ieri sera l’ha detto! Sul giornale, la televisione. Dice che ha detto sul fratello, deve rovinare a lui al fratello, a suo padre, li rovina a tutti, li rovina! ...inc... secondo me Peppe c'è rimasto male no?».
Nell’estate del 2018 la notizia della collaborazione con la giustizia di Emanuele Mancuso, il primo pentito della famiglia di Nicotera e Limbadi, pare generasse una certa preoccupazione non solo tra i suoi stessi congiunti, ma anche tra chi negli ambienti è ritenuto vicino ai Mancuso come il presunto boss di Zungri “Peppone” Accorinti.
Proprio a lui si riferiva Gaetano Pochiero, indagato a piede libero nell’ambito dell’inchiesta “Maestrale-Carthago” della Dda di Catanzaro, parlandone con Michele Galati, fermato con l’accusa di essere il presunto capo ‘ndrina di Paravati. Quest’ultimo però spiega all’interlocutore che non è solo “Peppone” a dover temere le rivelazioni del pentito, ma aggiunge che «anche lui ed i propri sodali non sarebbero rimasti indenni dalle dichiarazioni accusatorie del collaboratore», e parla inoltre del presunto «appoggio già fornito» ai due Pantaleone Mancuso (“l’Ingegnere”, padre di Emanuele, e “Scarpuni”) in relazione ad alcuni omicidi: «A noi ci tocca pure! A me, a Peppe... che gli abbiamo dato gli omicidi a suo padre... a “Scarpuni”... cose... glielo dice! [...] Poi esce anche il coso di Campisi [...] Questa cosa... Campisi... (broker della cocaina ucciso a Nicotera nel 2011, ndr) è uscito già!... È già tre volte che i pentiti dicono che è stato il figlio dell'ingegnere, con un altro ragazzo! [...]».

Leggi l'articolo completo sull'edizione cartacea di Gazzetta del Sud - Catanzaro

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