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Vibo, alluvione 3 luglio 2006. I parenti delle vittime: "Vite spezzate due volte, dal fango e dall'uomo. Dov'è la giustizia?"

A 17 anni di distanza da quella tragedia il sentimento è ancora quello della rabbia e del dolore attraverso le testimonianze di Daiana Gaglioti e Giuseppe De Pascale

La ferita è ancora aperta e non potrà mai essere rimarginata. Famiglie distrutte dal dolore per la perdita dei propri cari, avvenuta in quel tragico lunedì 3 luglio del 2006 quando l'ondata di acqua, fango e detriti portò via la vita del piccolo Salvatore Gaglioti e delle due guardie giurate Ulisse Gaglioti (zio di Salvatore) e Nicola De Pascale.

Non si dà ancora pace una delle figlie di Ulisse, Daiana: "Quel giorno mio padre uscì per andare a lavorare con la propria auto. Il mezzo blindato era guasto. Il decesso avvenne intorno alle 12:15 e mia mamma e noi figli non vedendolo arrivare abbiamo aspettato, ma poi alle 16 mia mamma Rosanna ci invitò a salire in macchina e andare a cercarlo perché il cellulare era spento. In quei momenti sentivamo solo tanti elicotteri, ma qui da Pizzo non avremmo mai potuto pensare a quello che poi è realmente accaduto. Mio fratello aveva appena 8 anni, io 16. Arrivati a Longobardi davanti a noi c'era il disastro più totale con alberi, acqua e fango in mezzo alla strada. Iniziammo a scendere per capire un po' la situazione, ma salì la moglie del collega De Pascale che ci diede la tragica notizia. Erano le 16:20 e nessuno, nell'incredulità generale, ci aveva avvisato. Ricordo che non volevamo credere alla notizia e ci siamo imbattuti in mezzo al fango e all'acqua che con forza ci respingeva indietro. Poi la polizia ci ha bloccato e ricordo il volto di mio fratello e le sue lacrime. Mi ripeteva: come faremo ora senza papà e io che ero la più grande non sapevo trovare un modo per tranquillizzarlo. Mia mamma ancora oggi non si dà pace e si chiede perchè. Ma nessuno saprà mai risponderci.

Ci siamo rimboccati le maniche nonostante la nostra giovane età perché in famiglia lavorava solo papà e siamo riusciti a crescere come lui voleva con sani valori e riconoscendo il sacrificio che lui ha fatto perché è morto lavorando e non si può morire così".

"Ci siamo trovati di fronte - prosegue Deiana - con una montagna di fronte. Quella della burocrazia. Quelle strade non erano e non sono in sicurezza. Le istituzioni e gli enti preposti dove sono? Mi è rimasta una cosa impressa nella mente: l'esultanza degli indagati davanti ai nostri occhi, agli occhi di chi aveva perso i propri cari, quando il giudice nell'ultima udienza ha riconosciuto che il fatto non sussiste. Si è fatto lo scarica barile in questi anni, atti d'ufficio non trovati. E' accaduto di tutto. Dopo 17 anni i nostri sentimenti sono quelli di rabbia e dolore perché mia mamma molto giovane non ha potuto vivere la spensieratezza di un grande amore dopo aver fatto tanti sacrifici e mio fratello cerca di ricordare la voce di suo padre, ma non riesce. Così come io ho il rammarico che le mie figlie non abbiano potuto conoscere il loro splendido nonno. Le vite dei nostri cari sono state spezzate due volte, dal fango e dall'uomo. Spezzate dall'abusivismo presente in quella montagna con costruzioni che non dovevano essere fatte lì, con corsi d'acqua ostacolati e sui quali la natura si è ribellata. All'epoca al funerale sono venuti tutti i rappresentanti delle istituzioni, ma poi sono spariti tutti. A noi rimane l'immagine di mio padre tagliato nel suo corpo dagli alberi. Addosso non aveva più nulla, solo i sacchetti dei soldi legati al polso come gesto di responsabilità rispetto al proprio lavoro che ha onorato fino all'ultimo. Oggi grazie a Dio lavoriamo, sia io che mia mamma e mio fratello. Mia mamma ha finito di pagare il mutuo con le proprie forze dopo che avevano da poco comprato casa all'epoca. Sono amareggiata perché non ci sono leggi che ci tutelano, perché la giustizia non c'è, perché se ripiove di nuovo in quel modo è facile che ci siano altre tragedie e il sacrificio di chi è morto non sarà stato da esempio per nessuno".

Giuseppe De Pascale: "La lezione non è bastata"

"Un dolore che non passa. Soprattutto - sottolinea Giuseppe figlio di Nicola De Pascale - quando arriva questo periodo. La lezione non è bastata. E a livello giudiziario tutto è’ andato nel dimenticatoio, un discorso aperto che non ha portato a nulla. Non ci sono parole per quello che e’ successo: ero a casa con mia mamma e siamo corsi e non eravamo consapevoli di cosa stesse succedendo. Siamo andati sul luogo e abbiamo scoperto la tragedia davanti ai nostri occhi. Le responsabilità di quanto è accaduto non sono state ancora verificate e dopo 17 anni il sentimento della rassegnazione è forte e ormai siamo sfiduciati. È passato troppo tempo e sapere che nulla è cambiato ti fa pensare: dove e’ la giustizia?".

 

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