C’è stato un tempo, neanche troppo remoto, in cui gli scambi di favori criminali tra Lamezia e il Reggino riguardavano per lo più le trasferte di sangue dei killer messi a disposizione da cosche alleate per compiere delitti eclatanti. In anni più recenti, invece, l’asse tra la malavita lametina e quella della provincia di Reggio – in particolare di San Luca, ma anche di Rosarno – si è consolidato sui canali di approvvigionamento della droga. L’ultima conferma è arrivata dall’inchiesta “Svevia” – scattata a febbraio di quest’anno e chiusa proprio nei giorni scorsi – che ha fatto emergere le alleanze del gruppo di presunti trafficanti e pusher lametini al centro dell’inchiesta con narcos reggini ma anche romani. Una dinamica analoga è emersa di recente anche da un’altra inchiesta, “Glicine Acheronte”, ma a parti invertite: in quel caso era un lametino, a sua volta coinvolto in un altro procedimento per droga, a rappresentare il contatto locale per alcuni uomini ritenuti vicini alle cosche del Crotonese per piazzare in città le loro slot machine e fare affari con il gioco online.
Incrociando ciò che viene fuori dalle varie inchieste risultano in effetti proprio il Reggino e il Crotonese le due direzioni verso cui si sarebbero mosse, prima e dopo il vuoto di potere creato in città da operazioni e arresti che hanno decimato le cosche storiche, le alleanze di chi questo vuoto avrebbe voluto occupare in anni recenti attraverso il traffico di stupefacenti. È stato d’altronde anche il pentito Gennaro Pulice a spiegare, durante il maxiprocesso “Rinascita Scott”, che Lamezia non aveva un suo “locale” di ‘ndrangheta da quando fu ucciso, nel 1989, il “padrino” Umberto Egidio Muraca, aggiungendo che dopo quell’omicidio la ‘ndrangheta lametina avrebbe continuato a dipendere da San Luca.
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