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Dall’Alto Marchesato ai villaggi silani la cosca di Petilia imponeva la sua legge

Nella sentenza “Eleo” i giudici delineano le attività del clan. Riti di affiliazione, armi ed episodi estorsivi. Inflitte otto condanne

Summit, riti di affiliazione, controllo sui villaggi turistici della Sila, estorsioni e armi. Il Tribunale di Crotone ha ricostruito le presunte attività illecite della cosca di Petilia Policastro, attiva non solo nei centri collinari del Marchesato (Petilia e Cotronei), ma anche in Sila. Una ricostruzione dettagliata contenuta nelle 339 pagine della sentenza che - con otto condanne e un'assoluzione - lo scorso 11 maggio ha messo la parola fine al processo di rito ordinario nato dall'inchiesta "Eleo". L'operazione, scattata il 15 gennaio 2021 con 12 fermi eseguiti dai carabinieri del Comando provinciale di Crotone e della Compagnia di Petilia, consentì alla Dda di Catanzaro di disarticolare il clan petilino che s'era riorganizzato dopo gli arresti degli anni passati.
Il collegio presieduto da Massimo Forciniti ha ripercorso anche gli episodi relativi a "pizzo" chiesto al "Villagio Palumbo" di Trepidò (Cotronei). Su tutti, viene menzionato l’ipotizzato attivismo di Oreste Vona (condannato a 13 anni e 8 mesi di carcere) nell'avanzare - per conto del clan - maggiori pretese estorsive nei confronti degli amministratori della struttura turistica. «Ieri ho parlato col boss», disse Vona il 4 dicembre 2017 ad uno dei gestori del "Villaggio" nel pretendere più denaro. Di contro, l'imprenditore lamentò "la scarsa protezione" del clan a causa dei danneggiamenti e dei furti che l'impianto periodicamente subiva. Non a caso, a maggio 2018, gli investigatori annotarono la presenza in Sila di Rosario Curcio, detto "Pilurussu" (coinvolto nell'abbreviato di "Eleo" e considerato il reggente della cosca) in quanto «in quel periodo erano numerosi i furti che erano stati commessi nelle varie abitazioni di Trepidò, quindi del "Villaggio Palumbo"». Ma nelle mire della 'ndrina era finito pure il "Villaggio Baffa" di Cotronei che - come articolato nel dibattimento - sarebbe stato controllato «dal punto di vista della guardiania da parte di Giuseppe Garolafola, detto "u Sciabbrodo" (13 anni e 10 mesi)». Non manca poi la disponibilità delle armi in capo al gruppo criminale. Nel dettaglio, i giudici si sono soffermati su Pierluigi Ierardi (12 anni e 6 mesi) e sulla sua dimestichezza e disponibilità di pistole e fucili. Ad esempio, nel 2018, l’imputato venne intercettato mentre va a prendere una pistola dall'«armeria nostra» per recuperare a Mesoraca una moto rubata. Così come vengono indicate - in seguito alle captazioni - le altre armi che lo stesso Ierardi avrebbe custodito nella sua abitazione. Inoltre, la sentenza ha illustrato i riti di affiliazione a dimostrazione della dinamicità della 'ndrina petilina.

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