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Crotone, così la cosca Megna di Papanice pilotava il commercio della carne

Ulteriori retroscena dell’inchiesta “Glicine-Acheronte” della Dda di Catanzaro. Macellerie costrette ad acquistare i vitelli del clan: vessazioni, richieste di denaro e pressioni pure per far assumere personale

Dall'imposizione dell'acquisto della carne di vitello alle richieste del "pizzo", fino alle pressioni per far assumere il personale gradito nei negozi. Così la cosca Megna di Papanice avrebbe vessato a colpi di estorsioni i commercianti crotonesi. Lo hanno accertato i poliziotti delle Squadre di mobili di Crotone e Catanzaro e del Servizio centrale operativo (Sco) nell'informativa che è confluita nell'inchiesta "Glicine-Acheronte" coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Si tratta dell'operazione che lo scorso 27 giugno, con 43 misure cautelari eseguite dai carabinieri del Ros, ha consentito di mettere all'angolo il clan capeggiato dal boss Mico Megna, oltre che fare luce sulle presunte ingerenze del comitato d'affari - formato da politici, imprenditori e uomini in odor di 'ndrangheta - che per anni avrebbe influenzato le istituzioni pubbliche per fini elettorali. L'anziano capobastone, annotano gli inquirenti, si occupava «dell'allevamento di capi di bestiame direttamente riconducibili alla figlia Rosa Megna titolare di un'attività» per l'allevamento degli animali. E «Mico Megna - si legge nell'informativa - ricorrendo alla sua influenza criminale riusciva ad imporre l'acquisto» dei suoi vitelli che venivano «macellati e forniti» da una ditta di Strongoli. Secondo gli investigatori, figura di rilievo per l'attività di smercio della carne sarebbe stato Carmine Stricagnoli il quale, per conto del boss, avrebbe intrattenuto i rapporti sia col titolare del macello di Strongoli, sia con gli esercenti-clienti.

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