L’ultimo rogo si è verificato il giorno dopo Ferragosto. L’ennesimo, l’ultimo di una serie infinita: “un bel dì vedremo levarsi un fil di fumo” recita la famosa aria della Madama Butterfly di Puccini. E, bisogna dire, che i lametini lo hanno visto spessissimo il “fil di fumo” levarsi dal campo rom di località Scordovillo: anzi non un leggero rivolo grigio che si stagliava nel cielo azzurro ma pesanti e grandi nubi nere cariche di diossina e di tanto altro materiale inquinante.
L’annosa questione rom come ormai viene comunemente definita è un’incompiuta politica, ideologica, antropologica, sociale: decisamente un caso da studiare, una telenovela che va avanti da quasi mezzo secolo. Sulla bidonville che è luogo di alienazione umana e che spesso è stata fulcro di micro e macro criminalità tutti hanno disquisito, ma senza mai venire a capo di nulla. Tavoli tecnici, riunioni interistituzionali, disposizioni della magistratura rimaste nel cassetto. E poi ancora manifestazioni, azioni dimostrative delle associazioni, consigli comunali aperti. Tutto e il contrario di tutto di un continuo e unico atto teatrale, un ‘così è se vi pare’, in puro stile pirandelliano. Sulla questione rom che costituisce un prisma a tante facce interviene Giosi Gigliotti, responsabile cittadino di Italia Nostra, che ribadisce: «La storia del campo rom di Scordovillo, il più grande del Meridione, è la fotografia di una città che non riesce a dare soluzione al problema più importante che incombe sulla salute e lo sviluppo di Lamezia Terme». Così Gigliotti che sostiene: «Tanti sono gli attori ai quali spetta il compito di rendere quest'area patrimonio della città ma sembra siano tutti diventati ciechi, sordi e muti. Lo squallore che regna nel campo rom, la bomba ecologica ed ambientale pronta ad esplodere, gli incendi che si ripetono con una frequenza non trascurabile. I fumi tossici che avvelenano l'intero comprensorio fino a non risparmiare pazienti e personale ospedaliero. Tante emergenze in una sola a cui nessuno pone rimedio».
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