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'Ndrangheta: pistole, munizioni, esplosivi. L’arsenale della cosca Megna di Papanice

Pistole, esplosivi, munizioni e perfino un giubbotto antiproiettile. La cosca Megna di Papanice poteva contare su una vera e propria «potenza militare» capace di intimidire chiunque. Continuano a venire fuori nuovi particolari dalle carte dell'inchiesta "Glicine-Acheronte" coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che, lo scorso 27 giugno, ha portato all'esecuzione di 43 misure cautelari da parte dei carabinieri del Raggruppamento operativo speciale. L'operazione da un lato ha consentito di disarticolare il clan che s’era riorganizzato dopo la scarcerazione - nel 2014 - del boss Mico Megna, dall'altro di smantellare il presunto comitato d'affari (formato da politici, imprenditori e uomini in odor di ’ndrangheta) che per anni avrebbe influenzato le istituzioni pubbliche per finalità elettorali. E così, si legge nell'informativa redatta dai poliziotti delle Squadre mobili di Crotone e Catanzaro e del Servizio operativo centrale, in una conversazione captata il 22 maggio 2016 due affiliati ai "papaniciari" discutevano «del posizionamento e occultamento del giubbotto antiproiettile» all’interno della macchina sulla quale dovevano viaggiare, oltre che del «deposito» - si trattava di un immobile a Papanice - dove sistemare lo stesso giubbotto antiproiettile. Tant’è, annotano gli investigatori, «dal tenore della conversazione» uno degli interlocutori si preoccupava «che l'esplosivo conservato insieme al giubbotto» non venisse «riposto a terra», ordinando al sodale di sistemare «il giubbotto in basso e l'esplosivo in cima al contenitore utilizzato» per evitare «eventuali esplosioni accidentali» o l’inutilizzabilità del materiale da fuoco. C’è di più.

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