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Luigi Aquilano, il genero del boss 'ndranghetista Mancuso condannato a 12 anni

Gestiva un bar in via Manara, proprio a fianco al Palazzo di Giustizia di Milano, e da quel locale Rosaria Mancuso, la moglie (non indagata), avrebbe cercato di assumere «informazioni» su «alcuni magistrati» che lo frequentavano

E’ stato condannato a 12 anni di reclusione Luigi Aquilano, genero del boss Antonio Mancuso, vertice della cosca della 'ndrangheta di Limbadi (Vibo Valentia). Aquilano era finito in carcere a fine luglio 2022 in un’inchiesta della Dda di Milano su narcotraffico ed estorsioni, come «recupero crediti», con presunti legami coi clan. Un’indagine da cui era emerso anche che Aquilano, 45 anni, gestiva un bar in via Manara, proprio a fianco al Palazzo di Giustizia di Milano, e che da quel locale Rosaria Mancuso, la moglie (non indagata), avrebbe cercato di assumere «informazioni» su «alcuni magistrati» che lo frequentavano.

La sentenza è stata emessa oggi con rito abbreviato dal gup Guido Salvini, che ha condannato altri 20 imputati a pene fino a 5 anni (più alte rispetto alle richieste), tra cui 3 anni a Nazzareno Calajò, presunto «ras della droga» alla Barona, storico quartiere popolare di Milano, arrestato lo scorso aprile in un’altra inchiesta su traffici di droga, che ha fatto emergere anche contrasti con ultras della curve di San Siro.

Per Aquilano ed altri il gup, però, non ha riconosciuto l'accusa di associazione mafiosa, mentre per due episodi di estorsione ai danni di imprenditori (uno commissionato da persone che vivevano a Ibiza) ha retto l’aggravante del metodo mafioso. Il pm Alessandra Cerreti aveva chiesto per Aquilano 18 anni. Già il gip Lidia Castellucci nelle indagini aveva respinto 26 richieste di misura cautelare avanzate dalla Procura, facendo cadere l’associazione mafiosa.

Aquilano, secondo il gup Salvini, malgrado i suoi presunti legami col clan Mancuso (atti trasmessi ai pm di Catanzaro), si sarebbe mosso in autonomia, senza creare a Milano una «articolazione» della cosca di Limbadi e senza dover ottenere mai «l'approvazione» per agire della «casa madre» in Calabria. Due imputati che erano accusati solo di associazione mafiosa sono stati prosciolti, mentre ci sono stati anche 3 patteggiamenti e quattro rinvii a giudizio.

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