Inchiesta Karpanthos, ecco i tentacoli delle cosche presilane

Radicati nel territorio di appartenenza, ma con proiezioni anche fuori regione, fra Piemonte, Liguria e Lombardia, le cosche di Petronà e Cerva controllavano tutto, dalla politica locale, alle attività economiche.
Nell’organizzazione criminale, smantellata dall’operazione Karpanthos, condotta dai carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro e coordinata dalla Dda, con l’esecuzione di 52 misure cautelari, aveva un ruolo di primo piano Salvatore Carpino, 65 anni, già detenuto nella casa circondariale di Genova e destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Secondo quanto emerso dalle indagini, Carpino faceva parte, assieme ad altri, di un gruppo denominato Carpino o Tratraculo, operativo nella zona di Petronà, che aveva l’intenzione di vendicare l’omicidio di Alberto Carpino, loro sodale, il quale era stato a capo dell’omonimo gruppo criminale.
Una circostanza confermata anche dai pentiti Luigi Scalese e Carmine Scarpino. Dopo l’assassinio di Alberto Carpino, il gruppo era intenzionato a mettere in atto una ritorsione contro la famiglia rivale, dei Bubbo, per affermare la propria supremazia. Dopo la morte del fratello Alberto, Salvatore Carpino prese le redini dell’organizzazione, partecipando ai summit di ’ndrangheta e contrapponendosi ai Bubbo. Carmine Brescia, anch’egli indagato nella Karpanthos, è stato ascoltato dagli inquirenti mentre lo definiva un “cristianone”, ovvero un soggetto di rilievo nell’ambito della criminalità organizzata, che assicurava protezione ai suoi sodali, e decideva la morte dei suoi nemici: «Se ti dice che sei morto – affermava Brescia – sei morto».