Tarda ad arrivare la tanto attesa riqualificazione del quartiere Pennello e del suo lungomare. Dopo la demolizione (avvenuta a febbraio) del chiosco Azzurro e la passerella di politici che annunciavano il ripristino della legalità, in un’area scempiata dalle costruzioni selvagge, tutti si sarebbero aspettati una presa di posizione generale, se è vero com’è vero che la giustizia non deve avere due pesi e due misure.
Invece, resta transennato il lungomare, collassatosi ormai da anni, così come è incompleto il restyling di piazza Capannina e del terzo lotto di opere pubbliche che sarebbero dovute seguire alla realizzazione dei marciapiedi e del tratto di lungomare finale.
Una grossa fetta di litorale, parallela a via Arenile, è completamente impraticabile. I marosi la hanno sbriciolata come un biscotto, così come hanno fagocitato cortili, strade, gradini di abitazioni, persino la barriera in lamiera che era stata, in illo tempore, realizzata dall’Agip a protezione delle sue condotte (oramai dismesse). Per mettere ordine sul terreno “minato” – dove sorge il compendio Pennello – forse bisognerebbe avere il coraggio di effettuare altre demolizioni, oppure cercare una via per sanare definitivamente tutte le costruzioni edificate abusivamente, a partire dal dopoguerra. E in questo “blocco” forse sarebbe potuto rientrare anche il chiosco “Azzurro”, esistente sin dagli anni cinquanta e fornito di regolare licenza commerciale. In realtà la demolizione del manufatto, di proprietà del signor Giuseppe Francolino, ha riaperto il capitolo “abusivismo edilizio”, perché, a questo punto, sarebbe, forse, il caso di fare una disamina sugli errori del passato e su quelli del presente.
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