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Catanzaro, imprenditore vessato per tanti anni. Ridotte le pene dalla Corte d’Appello

Confermata la condanna per il collaboratore di giustizia Santino Mirarchi. L’inchiesta della Mobile è partita dopo la denuncia della vittima

La Corte d’Appello di Catanzaro ha ridotto quattro delle cinque condanne emesse in primo grado nel processo sulle vessazioni che un noto imprenditore catanzarese ha dovuto subire per oltre un ventennio. In particolare la Corte, presidente Alessandro Bravin, a latere Maria Rosaria di Girolamo e Assunta Maiore, ha riformato la sentenza per Cosimo Passalacqua, alias “U Toscanu”, (67 anni) di Catanzaro, infliggendo 8 anni di reclusione e 5.600 euro di multa, in luogo dei 10 anni, 8 mesi e 8mila euro di multa inflitti in primo grado; per Luca Veneziano, (37 anni) di Catanzaro, per Cosimo Berlingieri, (52 anni) di Catanzaro e Enzo Abbruzzese, (49 anni) di Catanzaro, la condanna è di 4 anni, 10 mesi, 20 giorni di reclusione e 3.600 euro di multa, in luogo degli 8 anni e 6mila euro di multa rimediati in primo grado. Confermato invece il verdetto pronunciato in primo grado nei confronti del collaboratore di giustizia Santino Mirarchi, (40 anni), di Catanzaro, condannato a 2 anni e 6mila euro di multa.

Il collaboratore di giustizia Mirarchi all’epoca dei fatti contestati era il referente su Catanzaro per i clan di Isola Capo Rizzuto e «per conto della cosca 'ndranghetistica riscuoteva ogni primo del mese personalmente o per il tramite del Passalacqua la somma di 500 euro negli anni dal 2010 al maggio 2016 (fino alla data del suo arresto ed inizio della collaborazione con la giustizia), per lavori di ammodernamento eseguiti dall'impresa presso la Stazione ferroviaria di Catanzaro Lido e quello realizzato vicino al cimitero di Catanzaro Lido». Secondo quanto emerso dalle indagini, scattate dopo la denuncia dell’imprenditore, una delle imprese edili più grandi del capoluogo da decenni era costretta a cedere al ricatto della criminalità rom. Era Cosimo Passalacqua, “U Toscanu”, a garantire all’imprenditore «una tranquillità ambientale». In cambio però di assunzioni fittizie e pagamenti periodici per lui e i suoi familiari. Quando nel maggio del 2020 l’imprenditore ha trovato il coraggio di spezzare le catene del racket immediata è scattata la ritorsione: danneggiamenti, furti, atti intimidatori e minacce. Il 25 maggio 2020 l’imprenditore si è presentato alla polizia per denunciare un furto di merce subito in azienda.

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