L'uccisione del 54enne Stefano D'Arca non è stata «una legittima difesa» da parte di Francesco Pezziniti, bensì un’«evidente sproporzione» tra «l'offesa arrecata» dalla vittima e «la reazione» dell'imputato 81enne. Ecco spiegate dalla Corte d'assise d'appello di Catanzaro le ragioni per le quali, lo scorso 18 maggio, ha confermato per Pezziniti la condanna a 15 anni e 7 mesi di carcere che, il 24 giugno 2021, gli venne inflitta in primo grado per aver assassinato D'Arca. L’uomo fu freddato la notte dell'8 marzo 2019 a pochi metri dal Bar Moka di Crotone, in viale Regina Margherita, con sette colpi da una pistola "Beretta" calibro 7.65 esplosi dall’anziano. Il delitto di sangue si consumò pochi minuti dopo la mezzanotte, quando D’Arca si recò al Bar Moka con modi aggressivi e violenti. Il 54enne, come hanno ricostruito gli inquirenti e i giudici, prima iniziò a litigare con Giuseppe Cortese di 33 anni (l'altro imputato del processo che è stato condannato in appello a 10 anni e 8 mesi di reclusione), per poi iniziare a prendere a calci e a pugni il bancone dell’attività commerciale. Ma «la reazione» di Pezziniti - ribadisce il collegio presieduto da Caterina Capitò nelle motivazioni della sentenza - «è stata perpetrata nei confronti di un soggetto disarmato, che aveva preso di mira solo cose e oggetti, e che, peraltro, aveva ormai abbandonato il bar, sui cui arredi aveva canalizzato la sua furia».
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