Da un lato non è emerso l’interesse diretto della cosca Megna di Papanice nel business del gaming; dall’altro c’è stata la conferma che le macchinette da gioco sarebbero state imposte nei locali attraverso il timore scaturito dalla presenza costante dei “papaniciari”. Il Tribunale della libertà di Catanzaro ricostruisce l’affare dei giochi online finito al centro dell’inchiesta “Glicine-Acheronte” coordinata dalla Dda di Catanzaro. Si tratta dell’operazione che, scattata il 27 giugno scorso con 43 provvedimenti restrittivi eseguiti dai carabinieri, ha smantellato il clan Megna che s’era riorganizzato dopo la scarcerazione - nel 2014 - del boss Mico Megna, oltre ad aver disarticolato il presunto comitato d’affari (formato da politici, imprenditori e persone in odor di mafia) che avrebbe influenzato le istituzioni per fini elettorali. Infatti secondo i giudici del Riesame - che lo scorso 28 luglio hanno sostituito al 39enne di Crotone Roberto Lumare la misura cautelare degli arresti in carcere con i domiciliari - è da escludere l’accusa di associazione ’ndranghetista che la Procura antimafia contestava all’imprenditore del settore del gaming.
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