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L’ascesa del nipote del boss Bevilacqua e le mire sui cantieri della metro di Catanzaro

Nuovi particolari dell’inchiesta della Dda sul cosiddetto clan degli zingari. I pentiti: chiese un incontro a Isola per gestire le estorsioni

I cantieri della nuova metropolitana di Catanzaro erano finiti al centro degli appetiti di uno dei personaggi emergenti della criminalità rom: Simone Bevilacqua nipote del boss Domenico Bevilacqua meglio conosciuto come Toro Seduto ucciso in un agguato il 4 giugno del 2015. Negli atti dell’inchiesta sul cosiddetto “Clan degli zingari” la figura di Simone Bevilacqua viene approfondita in un documento che ricostruisce i furti e gli attentati subiti dai cantieri della metropolitana di superficie del capoluogo calabrese. In particolare gli investigatori della Squadra Mobile richiamano i verbali dei collaboratori di giustizia Santo Mirarchi e Annamaria Cerminara. Il primo racconta che alla morte di Toro Seduto proprio Simone aveva preso «in ordine di successione il posto». Sempre il pentito ha raccontato che il giovane Bevilacqua era andato a chiedere l’estorsione a una clinica presente nella periferia sud del capoluogo. Lo stesso Simone Bevilacqua era andato poi da Mirarchi per raccomandargli di «non porre in essere la stessa azione criminosa con il gruppo di cui faceva parte cioé quello comandato da Cosimino Abbruzzese, alias U Tubu”». Il collaboratore aveva così confermato la rivalità tra i due gruppi storici della criminalità rom. Aveva aggiunto anche un altro elemento. Dopo la morte di Toro Seduto, Simone Bevilacqua aveva chiesto un incontro al vertice della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto poiché lo autorizzasse a imporre il “pizzo” ad alcune attività commerciali del capoluogo. Un dato che sembra combaciare con il dichiarato della collaboratrice Cerminara.

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