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Inghiottiti nel nulla, la storia degli scomparsi di Serra. Il papà di Pasquale Andreacchi: “Ci sono assassini a piede libero, c'è da avere paura”

Scomparsi, inghiottiti nel nulla, strappati per sempre ai loro affetti. È il triste destino che, a distanza di quattro anni (2009 e 2013), ha accomunato Pasquale Andreacchi e Massimo Lampasi, entrambi di Serra San Bruno. L’ultima volta che li videro, avevano rispettivamente 18 e 25 anni. Erano usciti per comprare le sigarette. Entrambi. Era domenica. Per entrambi.
Quel che resta del primo, Andreacchi, è stato restituito nel modo più macabro possibile ai familiari (prima il ritrovamento del cranio e di un femore all’interno di un cassonetto, poi altri resti sparpagliati in un bosco). Del secondo, Lampasi, non si hanno ancora notizie, ma anche chi lo ama, da anni, pare essersi rassegnato: «Fateci ritrovare almeno il corpo del nostro Massimo». Vittime di lupara bianca (molto più di un'ipotesi, ormai, anche nel caso di Lampasi), questa pratica mafiosa che va altre l’omicidio e mira ad amplificare il dolore di chi resta, impedendogli di trovare il cadavere.
Ma è solo guardandolo in faccia, il dolore, che ci si può rendere conto di quanto faccia male. E il dolore, in entrambi i casi, ha lo sguardo dei familiari degli scomparsi. La famiglia Lampasi, che da dieci anni non smette di chiedersi che fine abbia fatto Massimo; i genitori e i parenti del numeroso nucleo familiare degli Andreacchi, ancora restii a metabolizzare il lutto. Fin dal giorno successivo al ritrovamento dei resti (sono trascorsi esattamente 14 anni), Salvatore e Maria Rosa non hanno smesso di chiedere la verità, dedicando le energie sopravvissute alla spasmodica ricerca di Pasquale al desiderio di Giustizia. E continuano a battere i pugni, sperare e lottare. Per loro, il gigante buono di Serra (un ragazzo di oltre 2 metri, improvvisamente diventato “invisibile” anche agli occhi dei serresi, in una triste domenica di fine 2009), non se n’è mai andato. «Quando apparecchiamo la tavola», svela mamma Maria Rosa, che all'epoca della nascita del suo primogenito aveva appena 13 anni, cinque in meno di papà Salvatore, «piazziamo anche il piatto di Pasquale. La casa è ancora piena dei suoi sorrisi, della sua dolcezza. Un ragazzo molto educato. Troppo. Basti pensare che quando salutava le persone abbassava lo sguardo, per timidezza». Un ricordo vivido anche negli occhi del padre, che non ha mai smesso di battagliare. «C'è troppa omertà in paese. Come si fa a scomparire un ragazzo del genere? Così, nel nulla? Lui, che non avrebbe mai fatto del male a una mosca. E allora c’è da avere paura, perché vuole che ci sono ancora degli assassini in circolazione e non bisognerà avere pace finché non saranno assicurati alla giustizia. Dal canto nostro, finché resteremo su questa terra, lotteremo alla ricerca della verità. La speranza non ce l’hanno tolta».

La riapertura del caso

Ad alimentare il vento della speranza ci sono le due legali della famiglia Andreacchi, avv. Lia Staropoli e avv. Adele Manno. «Ci troviamo di fronte a un caso irrisolto», afferma quest'ultima, «che ha come vittima un giovanissimo. Una famiglia è ancora alla ricerca di giustizia, ecco perché abbiamo scelto di opporci all'archiviazione del caso. Speriamo di conoscere a breve la data dell'udienza».

 

   

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