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C’è vita dopo l’ecomostro demolito. A Melissa una grande area camper

I dettagli del progetto messo a punto dal Comune in sinergia con la Regione. Parla l’ingegnere che ha seguito tutte le fasi dell’abbattimento: «Utilizzati 400 kg di esplosivo distribuito in 300 microcariche»

La Statale 106 praticamente pulita, nessun danno per l'azienda che sorge dall'altra parte della strada, nessun problema per le vigne circostanti. Oltre al grande valore simbolico, l'abbattimento di palazzo Mangeruca è stato anche un validissimo e spettacolare esempio di perizia tecnica. «L'immobile - spiega l'ingegnere strutturista Giuseppe Misiano, che si è occupato della demolizione controllata per l'azienda “Lavori stradali Srl” di Crotone - è crollato esattamente come avevamo previsto, adagiandosi verso la campagna per proteggere la Statale 106 e le costruzioni vicine. L'avevamo ricostruito in ogni suo dettaglio in un modello matematico, elaborato per capire come, dove, e quando intervenire per farlo “comportare” come avremmo voluto. Quindi abbiamo sistemato 400 chilogrammi di plastico suddivisi in 300 microcariche, minando quasi tutti i pilastri a varie altezze». È stato questo il lavoro che ha richiesto più tempo, «perché i pilastri erano a croce - spiega Misiano - e dunque 8 operai hanno lavorato per due mesi praticando i fori in cui inserire l'esplosivo in tutte le 14 facce di ciascun pilastro».
Per fare in modo che il palazzo si accasciasse verso la campagna «i pilastri lato strada non sono stati minati, ma solo incisi a “V” alla base, tagliando i ferri dell'armatura perché si piegassero». Infine le microcariche sono state «temporizzate a distanza di 75 millesimi di secondo l'una dall'altra, in modo da completare l'esplosione in 300 millisecondi». Un istante prima è stato fatto partire il getto dei cannoni ad acqua «sistemati sul lato più vicino alle abitazioni, per creare un muro che frenasse polvere e detriti». Ancora, «nei giorni precedenti avevamo abbattuto i muri sui tre lati del palazzo che non si affacciavano sulla strada per fare sfogare l'onda d'urto da quella parte». Un lavoro praticamente perfetto, realizzato con l'aiuto dei “fuochini”, i tecnici specializzati ed autorizzati a maneggiare gli esplosivi che hanno materialmente piazzato il plastico e premuto il bottone che ha innescato l'esplosione. «A sgomberare la “106” ci abbiamo impiegato un quarto d'ora - conclude Misiano - dopo aver controllato che non ci fossero mine inesplose». Ora sul posto c'è un frantoio mobile «che riduce in pezzi le macerie e le differenzia in base al materiale» per poi riciclarle o smaltirle come rifiuti speciali.

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