Diventa definitiva la condanna per Santino Mirarchi, collaboratore di giustizia che si è autoaccusato dell’omicidio del giovane catanzarese Luigi Grande avvenuto nell’agosto del 2009. Dopo essere stato condannato a 14 anni di reclusione in primo grado, Mirarchi aveva ottenuto uno sconto di pena dalla Corte d’assise d’Appello che aveva ridotto la condanna a 10 anni. I giudici catanzaresi avevano respinto l'appello relativo all'applicazione dell'aggravante della premeditazione, ritenendola provata dalle stesse dichiarazioni del Mirarchi in merito alle fasi preparatorie del delitto. Avevano però accolto il motivo relativo all'entità della pena, senza concedere però le richieste attenuanti generiche. Mirarchi, attraverso il suo difensore l’avvocato Michele Gigliotti, aveva quindi fatto ricorso in Cassazione per carenza e illogicità della motivazione in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche. Secondo la difesa la Corte di Assise di Appello avrebbe dovuto tenere conto della positiva evoluzione della personalità di Mirarchi, che dimostra la sua dissociazione dal clan 'ndranghetistico a cui apparteneva all'epoca del fatto ed anche la sua rivisitazione in chiave critica delle precedenti condotte. Il reato commesso, poi, pur grave, risale a tredici anni fa, ed anche tale lasso temporale avrebbe dovuto essere valutato ai fini della concessione del beneficio, avendo il ricorrente, nel frattempo, mutato radicalmente stile di vita ed offerto una collaborazione completa.
La Cassazione però ha ritenuto il ricorso inammissibile. Secondo la Suprema Corte infatti i giudici dell’Appello hanno affrontato la questione delle attenuanti generiche e le hanno negate per la «estrema brutalità ed efferatezza del gesto delittuoso, nonché alla luce della personalità dello stesso, a cui carico di registrano numerosi e gravi precedenti penali». «Questa motivazione – scrive la Cassazione - risulta adeguata, non illogica né contraddittoria, laddove valuta che gli elementi negativi, in particolare l'efferatezza dell'omicidio, per le sue modalità e per il successivo scempio del cadavere, prevalgano sugli elementi favorevoli». Diventa quindi definitiva la condanna a dieci anni.
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