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“Dentro questo lido morirà qualcuno”, chiesti tre rinvii a giudizio per il caso dello stabilimento Lo Jonio a Catanzaro:

Chiesto il processo per il proprietario dello stabilimento Lo Jonio, suo fratello e il nipote, accusati di tentata estorsione e violenza privata

Si aggiunge un nuovo capitolo giudiziario nella intricata vicenda del lido Lo Jonio sul lungomare di Giovino. La sostituto procuratore Irene Crea ha infatti chiesto il rinvio a giudizio del proprietario dello stabilimento balneare Giovanni Valentino, di suo fratello Alfredo (62 anni) e di suo nipote Alfredo (di 49 anni). Le accuse sono pesanti: tentata estorsione, tentata violenza privata, sostituzione di persona, atti persecutori. Condotte che sarebbero iniziate nel 2016 (ossia l’anno dopo aver dato in gestione il lido) fino al 2021. Il gup del Tribunale di Catanzaro Fabiana Giacchetti ha fissato l’udienza preliminare per il prossimo 20 febbraio. In quell’occasione potranno costituirsi parti civili Matilde Talotta e Aniello Grampone (assistiti dall’avvocato Michele Gigliotti), marito e moglie che avevano preso in gestione la struttura, e l’imprenditore Antonio Macrina, difeso dall’avvocato Antonio Lomonaco. Le indagini sono state condotte dalla Squadra Mobile di Catanzaro, agli atti ci sono alcune informative degli investigatori ma anche un interrogatorio di Giovanni Valentino che si è tenuto nel giugno scorso. Secondo la ricostruzione della Procura, il titolare dello stabilimento, Giovanni Valentino, nel 2015 aveva concesso in locazione per la durata 5 anni ai due coniugi Talotta e Grampone il lido. Dopo alcuni mesi però i rapporti si sarebbero incrinati e l’indagato li avrebbe minacciati. Stando a quanto si legge nel capo di imputazione gli avrebbe detto che «con la legge o senza la legge si sarebbe riappropriato del lido» se i locatari non gli avessero corrisposto la somma di 25mila euro da aggiungere al canone di locazione. Per gli inquirenti avrebbe quindi posto «in essere atti idonei e diretti in modo non equivoco a farsi consegnare la predetta somma, ingiusto aumento del canone concordato e così a procurarsi un ingiusto profitto».

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