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Inchiesta sul carcere di Catanzaro, Paravati era al corrente: ho letto alcune note mi sono proprio schifata

Le comunicazioni al Dap passavano dal suo ufficio

«Hanno montato su una cosa che fa schifo». L'ex direttrice Angela Paravati già mesi prima che scattasse il blitz dei Carabinieri sapeva che la sua gestione del carcere di Catanzaro era finita al centro di alcuni accertamenti. In forza dell'incarico ricoperto presso il Provveditorato dell'Amministrazione Penitenziaria per la Calabria, sarebbe venuta a conoscenza delle note trasmesse dalla nuova direzione della Casa Circondariale catanzarese. In alcuni dialoghi con un ufficiale della polizia penitenziaria si dice esterrefatta dal contenuto di alcune comunicazioni: «Però hanno chiesto altre ... io ho visto due tre note perché poi io mi sono, vi giuro non le ho manco più lette perché mi sono proprio... schifata». La Paravati cita anche il contenuto di una comunicazione avvenuta tra la direzione del carcere e il Dap di Roma: «Gli ha scritto di continuare alla Direzione il ripristino della legalità ... una cosa del genere». Secondo la Paravati e l'ufficiale della penitenziaria, l'attuale direzione dell'istituto Caridi avrebbe dato troppo credito ai detenuti quando riferivano che nei reparti detentivi venivano «tenuti aperti». La Paravati in quei dialoghi, non sapendo naturalmente di essere intercettata, respinge con forza le possibili accuse. Più volte sottolinea di non aver fatto nulla di illegale. Anzi racconta che durante il periodo della pandemia, per evitare rivolte, non aveva esitato a concedere telefonate aggiuntive ai detenuti; precisando però che di questa decisione aveva informato anche il presidente del Tribunale di Sorveglianza di Catanzaro. «Non abbiamo fatto nulla di illegale... nella maniera più assoluta».

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