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'Ndrangheta nel Catanzarese, territorio in mano ai clan. Le nuove leve disposte a tutto

Decapitati i clan Bruno di Vallefiorita e Catarisano di Borgia. Nonostante gli arresti dei capi storici le nuove leve avevano riorganizzato i traffici illeciti. La minaccia del reggente a un commerciante: faccio saltare la testa a te e ai tuoi genitori

Incendi, minacce, brutali aggressioni, così i clan avevano imposto il «controllo assoluto» sul territorio che va da Squillace fino a Catanzaro. È quanto emerso dall’operazione Scolacium condotta dai Carabinieri e coordinata dalla Dda di Catanzaro. L’inchiesta ha coinvolto 24 indagati, di cui 19 sono finiti in carcere e 3 ai domiciliari. Colpite le cosche Catarisano che controllava l’area di Roccelletta di Borgia fino all’area industriale di Germeneto, e Bruno che da Vallefiorita estendeva i propri tentacoli anche su Amaroni e Squillace.

Nulla nei rispettivi territori di competenza poteva avvenire senza il placet del clan. Perfino per andare a caccia era necessaria l’autorizzazione degli affiliati: «Se vieni qui un’altra volta ti ammazzo», questa la minaccia subita da un cacciatore. Ma tutte le attività commerciali e imprenditoriali non sfuggivano alla presa asfissiante della criminalità, dall’eolico al settore boschivo, dal commercio alle attività di ristorazione o turistiche, il sistema di estorsioni non risparmiava nessuno. Nonostante le indagini che già in passato avevano decapitato le due organizzazioni, i clan erano riusciti a ristrutturarsi. Nella cosca Bruno si è registrata l’ascesa nell’organigramma di Gennaro Felicetta, nipote di Francesco Bruno che dal carcere ha comunque mantenuto il dominio del clan, continuando ad impartire disposizioni e a fornire direttive agli associati. Dopo l’azzeramento dell’ala militare della cosca Catarisano, nell’ambito dell’operazione Jonny, a guidare il gruppo sarebbero stati Pietro Abbruzzo e Massimo Citraro. I due clan «hanno mostrato una grande capacità di autorigenerarsi affidando il comando alle nuove leve, rappresentate dai giovani delle rispettive famiglie». Nuove leve disposte a tutto, «con la piena consapevolezza - hanno rimarcato gli investigatori - anche dei rischi di una vita criminale così intensa, come quello di morire»: uno degli indagati - emerge da un’intercettazione - avrebbe confidato di «aver portato con sè sempre una pistola fino ai 17 anni».

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