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'Ndrangheta a Vibo, ascesa e declino del clan dei Piscopisani: il “romanzo criminale” chiuso dalla Dda

Giovedì la conferma delle condanne anche in secondo grado: a Battaglia 28 anni

Andrea Mantella assicura che erano dei «predestinati», ma non in senso buono: alcuni dei boss del Vibonese – tra cui lui stesso, poi diventato pentito – erano convinti che dovessero «sparire o a livello giudiziario o a livello di essere uccisi». Alla fine è stata l’inchiesta della Dda di Catanzaro ad assestare il colpo più duro al clan “emergente” dei Piscopisani, i ragazzi spregiudicati della frazione alle porte di Vibo che volevano addirittura rimpiazzare i Mancuso nella città capoluogo.
Con le condanne confermate in secondo grado l’altro ieri, al netto di due nuove assoluzioni che si aggiungono a quelle di primo grado (quelle di Giuseppe Lo Giudice e Ippolito Fortuna), è stato scritto un altro importante capitolo nel “romanzo criminale” sfociato nella faida con i Patania di Stefanaconi dietro cui c’era la regia di Pantaleone Mancuso (“Scarpuni”, condannato ad 8 anni anche in Appello). Proprio come il Tribunale collegiale di Vibo nell’aprile del 2022 (presidente Tiziana Macrì), anche la Corte presieduta da Giancarlo Bianchi ha comminato la pena più alta a Rosario Battaglia (28 anni e 3 mesi). “Sarino” era al vertice ma lui – ha raccontato il pentito Raffaele Moscato, uno dei “tre moschettieri” del clan (con Battaglia e Rosario Fiorillo) che ha ammesso di aver commesso «la qualunque, dalla A alla Z» – «non ha ruoli, Battaglia è Battaglia».

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