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I Vattienti, rivive a Nocera Terinese il rito della flagellazione

Tanta gente ha preso parte al suggestivo evento

Dopo la privazione dovuta all’emergenza pandemica, la comunità nocerese s’è riappropriata della sua identità del periodo pasquale, tra qualche polemica e ordinanza prescrittiva (a tutela della pubblica salute), che nemmeno quest’anno sono mancate. Per il secondo anno consecutivo ieri, Sabato Santo, in una giornata calda, da primavera inoltrata, se non estive (diverse le persone con abbigliamento a maniche corte), le strade di Nocera Terinese si sono colorate ancora del rosso e del nero del costume dei protagonisti principali del secolare rito di autoflagellazione, oltre che del rosso del sangue prodotto dai flagellanti percuotendosi sulle cosce e sui polpacci. Solamente il Covid aveva potuto impedire lo svolgimento del cruento appuntamento della Settimana Santa, che identifica la comunità nocerese. Nemmeno la commissione straordinaria che l’anno scorso gestiva ancora il Comune riuscì a impedire il rito di autoflagellazione con un’ordinanza tesa ad evitare «l’indiscriminata e incontrollata pratica». Il coro di proteste che seguì, com’è noto, portò la commissione ad integrare poi il provvedimento con un secondo, che disponeva per i flagellanti prescrizioni a tutela della pubblica salute. Indicazioni in buona parte riprese quest’anno da un’ordinanza sindacale. Ma quello che conta è che il rito pasquale, di cui i noceresi sono fedeli custodi, ha ripreso la sua lunga storia, benché con qualche misura di prevenzione che certo non fa male alla collettività.

Ancora una volta ieri il centro storico alle pendici del Reventino è stato teatro dell’evento di sangue che segue un copione secolare. Ancora una volta Nocera Terinese è stata luogo di attrazione per tanta gente. Numerosi i veicoli parcheggiati ai bordi delle vie d’accesso al paese. Una moltitudine di persone è giunta da ogni luogo per vivere una giornata all’insegna della liturgia pasquale, ma anche della linfa versata dai “Vattienti”. Che per voto, devozione, penitenza, grazia impetrata, così si dice, hanno ripetuto gesti collaudati dalla tradizione. In costume nero, i flagellanti con decisione si sono percossi pubblicamente, con il classico “cardu” le cosce e i polpacci scoperti, producendosi fuoriuscita di sangue. Con un altro disco di sughero la cosiddetta “rosa”, hanno fatto affluire verso la caviglia il sangue fuoriuscito, prima di produrne ancora con ulteriori colpi secchi di “cardu”. Il rito s’è rinnovato lungo le vie dell’abitato; a cominciare da via Santa Caterina, davanti al Calvario. Ad ogni “vattiente” era legato con una cordicella un “acciomu” (Ecce Homo), che lo ha seguito per tutto il percorso insieme con il fedele portatore di una tanica del vino-aceto usato abbondantemente durante il rito per disinfettare le ferite prodotte dalla flagellazione.

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