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L’Affruntata nel Vibonese tra fede, tradizione e potere

Un «mirabile artificio» carico di pathos che, dopo il picco della concitazione, si scioglie nel più amorevole degli incontri, quello tra una madre e un figlio che credeva morto. Così, quando la Madonna scorge il Cristo risorto, «svestita la Madre de’ suoi lutti, adora il suo carissimo Figliuolo: incontro qual riempie di molta tenerezza d’affetto i circostanti». Sono le parole con cui Giovanni Fiore da Cropani, uno dei più accreditati storici della Calabria seicentesca, in “Della Calabria Illustrata” descrive la rappresentazione sacra che si rinnova in molti centri in queste ore.
Un rito che continua a suscitare curiosità e meraviglia. Ma che a volte è divenuto un instrumentum regni, un mezzo per l’affermazione dei propri scopi da parte dei poteri che si sono avvicendati nei secoli. Può essere questa una chiave per capire – senza generalizzare o criminalizzare – come la ‘ndrangheta si sia infiltrata in alcuni di questi riti fino ad arrivare, a volte, ad appropriarsene. Ma va tenuto ben presente che le manifestazioni religiose sono sempre state, da ben prima che esistessero le ‘ndrine, occasione per definire e ribadire rapporti di potere reali. E che si tratta di occasioni in cui, attraverso la rappresentazione di un ancestrale intreccio tra fede e teatralità “pagana”, le comunità mettono in scena se stesse.

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