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Narcotraffico nel Vibonese, il viaggio in auto "con 500 kg di droga"

Nuovi dettagli dell’inchiesta sul business dei clan vibonesi con ramificazioni all’estero che ha portato ad undici arresti. A svelare i retroscena Michele Galati presunto referente della ‘ndrina di Paravati

Dalle indagini storiche sui broker legati ai Mancuso alle «nuove figure di vertice» del narcotraffico vibonese. L’ultima inchiesta della Dda di Catanzaro, che ha colpito un’organizzazione «parallela» di presunti trafficanti, fotografa l’evoluzione del fiorente business della droga che dal Vibonese – in particolare da Limbadi, da Mileto e dal Poro – avrebbe avuto ramificazioni internazionali. Il lavoro investigativo dei pm Irene Crea, Andrea Buzzelli, Antonio de Bernardo e Annamaria Frustaci prende infatti le mosse da ciò che avvenne negli anni Duemila attorno a due grossi broker come Vincenzo Barbieri (ucciso in un agguato nel 2011) e Francesco Ventrici, attraverso quanto poi ricostruito in indagini come “Decollo”, “Replay”, “Adelphi” e “Stammer”, per arrivare a “Nemea” e dunque a “Rinascita Scott” e “Maestrale Carthago”, di cui l’operazione culminata nei giorni scorsi nell’esecuzione di 11 misure cautelari rappresenta una prosecuzione.

Le inchieste di questi anni hanno cristallizzato i clan vibonesi più attivi nel settore: Prostamo-Pititto-Iannello di Mileto, Soriano di Filandari, Fiarè-Gasparro-Razionale di San Gregorio d’Ippona e, ovviamente, i Mancuso. Proprio due dei boss del casato mafioso di Limbadi e Nicotera, i due “Luni” (Pantaleone “Scarpuni” e l’omonimo cugino detto “l’Ingegnere”), avrebbero avuto un ruolo di primo piano nel contrasto tra gruppi di narcos che avrebbe poi portato a lupare bianche e omicidi eccellenti. E dalla loro parte all’epoca sarebbe stato schierato, secondo gli investigatori, anche “Peppone” Accorinti, ritenuto il boss del Poro e oggi considerato elemento di continuità al vertice della “nuova”, presunta organizzazione di narcos vibonesi.

Al suo fianco ci sarebbe Michele Galati. È lo stesso Galati a svelare inconsapevolmente la sua “esperienza” sul campo raccontandola ad altri mentre i carabinieri lo ascoltano. Dice, per esempio, di aver trasportato fino a 500 kg di stupefacenti con la sua auto.

 

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