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'Ndrangheta a Vibo, l’ascesa di Tripodi e lo scontro con “Luni”

Nuovi dettagli dall’inchiesta sulla faida che ha insanguinato Vibo e le frazioni nel primo decennio del Duemila

Dopo che il primogenito Nicola, «storico reggente del clan», si è allontanato da Vibo per trasferirsi a Roma, il bastone del comando del “locale” di Porto Salvo e Vibo Marina sarebbe passato a Salvatore Tripodi, penultimo dei 12 figli del capostipite Orlando). Detto “Boss Hog”, quest’ultimo avrebbe impresso un «nuovo slancio» alla famiglia grazie alle sue capacità imprenditoriali e al gemellaggio criminale con i Piscopisani. Da un lato, dunque, la forza economica dei Tripodi, dall’altro quella militare del clan emergente dei «figliolazzi» spregiudicati della frazione alle porte di Vibo. Così, per come emerge dalle carte dell’inchiesta che ha fatto luce su 4 omicidi commessi negli anni della faida tra i Tripodi-Piscopisani e i Patania-Mancuso, la figura di "Salvatore “Turi” Tripodi si sarebbe inserita a pieno titolo, con un ruolo importante benché apparentemente defilato, nella strategia del cartello di clan che nei primi anni 2000 voleva cacciare i Mancuso dalla città capoluogo (il gruppo Mantella, i Bonavota, gli Anello, gli Emanuele e, appunto, i Tripodi e i Piscopisani).
L’omicidio di Michele Palumbo, ucciso davanti agli occhi delle figlie l’11 marzo del 2010 e fino ad allora ritenuto il referente di Pantaleone Mancuso (“Scarpuni”) nelle Marinate di Vibo, segna lo spartiacque. È in quel momento storico che i contrasti deflagrano in una faida sanguinosa. Perché di mezzo ci sono tanti soldi. E il controllo del territorio diventa esplicito attraverso le estorsioni.

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