Una nuova ipotesi si affaccia sulle possibile cause o concause che la sera del 4 ottobre 2018, provocarono a San Pietro Lametino quella tragica ondata di acqua e fango, che travolse e uccise Stefania Signore e i suoi due bambini, Christian di 7 anni e Nicolò di soli 2 anni.
Dope le udienze dei mesi scorsi, dedicate alle acquisizioni delle testimonianze dei primi investigatori e forze di soccorso intervenuti sul luogo della tragedia, ieri in aula a Lamezia dove è in corso il processo scaturito dal quel dramma, è comparso sui banchi dei testimoni, l’allora capo della Protezione civile e geologo, Carlo Tansi. Il tecnico ha spiegato davanti a giudici e avvocati il suo lavoro subito dopo l’accaduto, e nella sua testimonianza anche sollecitato dalle domande delle parti si è soffermato – tra le altre cose – due aspetti: innanzitutto ha ricordato come fosse stata stimata allerta arancione dal giorno prima (il tutto contenuto in una relazione acquisita agli atti), poi che sono state effettuate varie indagini nei terreni circostanti alla tragedia. Accertamenti, ha precisato Tansi, che avrebbero verificato la presenza di un metanodotto che – secondo il parere del geologo al tempo della tragedia, capo della Protezione civile calabrese – avrebbe provocato un avvallamento che avrebbe causato un aumento dei flussi anomali di acqua. Una circostanza che potrebbe essere stata decisiva nel drammatico andamento degli eventi.
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