La cosca Arena-Nicoscia di Isola Capo Rizzuto, tramite i suoi presunti sodali avrebbe allungato i suoi tentacoli anche nel lontano veneto e più precisamente su Verona. In che modo? A colpi di estorsioni, rapine, furti, danneggiamenti, atti intimidatori, uso di armi detenute illegalmente e illeciti fiscali. Fatti commessi tra il 2006 e 2020. È lo scenario ipotizzato dai pm della Dda di Venezia, Lucia D'Alessandro e Stefano Buccini, nella richiesta di rinvio a giudizio notificata alle 41 persone coinvolte nel troncone d’inchiesta scaturito dall'operazione "Isola scaligera" venuta alla luce nel 2020. L'udienza preliminare si terrà il 14 ottobre davanti alla gup del Tribunale di Venezia, Claudia Maria Ardita.
Sotto accusa, su tutti, Rosario Capicchiano e Alfonso Giardino, detto "Gaccia", ai quali viene contestato di essere stati i «promotori» e gli «organizzatori» del "locale" di 'ndrangheta di Verona, autonomo ma legato alla casa madre di Isola Capo Rizzuto. Per i magistrati, Capicchiano avrebbe ordinato «la commissione di molteplici reati», tra cui le estorsioni, facendo ricorso anche all'uso di armi. Mentre Giardino deve rispondere da un lato di essersi occupato delle «attività economiche del sodalizio» e della «situazione giudiziaria dei sodali» del gruppo, dall'altro di aver proposto «incontri strategici» per risolvere le «controversie» che sorgevano tra le fila del clan.
Tra le storie criminali messe nero su bianco dai pm c'è una rapina del 2013 ai danni della Cassa di risparmio di Firenze nella quale furono sottratti 131 mila euro oltre ai preziosi del valore di 2,3 milioni di euro. Oppure i colpi di fucile calibro 12 esplosi contro l'auto di un imprenditore di Lugagnano di Sona per estorcergli 80 mila euro come corrispettivo di un favore ricevuto nel 2015 dai capi della ’ndrina.
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