A disegnare la mappa geo-criminale del territorio è ancora una volta la Direzione investigativa antimafia, ma l’ultima relazione semestrale (riferita a gennaio-giugno 2023) consegna un elemento in più su Lamezia e il suo hinterland. Sono poche righe quelle dedicate a una delle quattro aree in cui gli esperti della Dia suddividono, dal punto di vista del controllo mafioso, la provincia di Catanzaro. Ma sono piuttosto significative, non solo perché dedotte dalle operazioni giudiziarie condotte dalla Dda di Catanzaro e dalle interdittive adottate dalla Prefettura, ma anche perché vanno incrociate con i segnali emersi di recente sull’evoluzione della malavita lametina. Innanzitutto la Dia conferma «l’operatività delle storiche cosche di ‘ndrangheta che esercitano il loro potere evitando ogni contrasto tra loro». Ma aggiunge che «l’area più instabile risulta essere quella di Lamezia Terme, ove continuerebbero ad operare le famiglie dei Iannazzo, dei Giampà, dei Cerra-Torcasio-Gualtieri».
Alle considerazioni sull’instabilità del panorama ‘ndranghetista lametino il report associa un richiamo all’inchiesta antidroga “Svevia” (condotta nel febbraio 2023 e sfociata in due filoni processuali) su una presunta organizzazione dedita al traffico di stupefacenti al cui vertice sarebbe stato proprio un discendente dei Giampà che avrebbe contato su canali di approvvigionamento a San Luca e Rosarno come a Roma (grazie a legami con i Casamonica). Ma ci sono altre indagini che negli ultimi anni hanno fatto emergere un vuoto di potere criminale sulla città che fa il paio con l’instabilità “fotografata” dalla Dia. Una è l’operazione “Glicine Acheronte” contro le cosche del Crotonese ma in cui era coinvolto anche un lametino di 35 anni, a sua volta indagato anche in “Droga parlata” in quanto ritenuto al vertice di un gruppo che gestiva lo spaccio in centro.
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