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Inchiesta Petrolmafie a Vibo, quattro assoluzioni e dodici condanne rideterminate I NOMI

Due assoluzioni sono state confermate e in secondo grado se ne sono aggiunte altre due; su diciotto condanne, inoltre, dodici sono state rideterminate. È l'esito dell'Appello del processo con rito abbreviato scaturito dall'inchiesta “Petrolmafie” sugli interessi dei clan vibonesi nel settore del commercio di idrocarburi. La Corte di Appello di Catanzaro (presidente Alessandro Bavin, a latere Maria Rosaria di Girolamo e Assunta Maiore) ha confermato le assoluzioni già decise dal gup distrettuale il 5 ottobre 2022 per Filippo Fiarè, 66 anni di San Gregorio d’Ippona, e il compaesano 61enne Gregorio Giofrè. A queste si sono aggiunte in Appello le assoluzioni di Gerardo Caparrotta, 55enne di Sant’Onofrio che era stato condannato a 4 anni in primo grado, e Antonio Ricci, 64enne di Montecorvino Pugliano a cui il gup aveva inflitto 2 anni e 6 mesi.

Le condanne

Condanne confermate invece per Pasquale Gallone (6 anni, ritenuto il braccio destro del boss Luigi Mancuso, condannato a 30 anni nel rito ordinario) e Giuseppe Barbieri (6 anni di reclusione). Pene rideterminate per Francescantonio Anello (34enne di Filadelfia ritenuto appartenente all'omonimo clan) e Daniele Prestanicola (per entrambi 6 anni a fronte dei 7 comminati in primo grado).
Condanne riformate anche per Giovanni Carvelli (3 anni, 3 mesi e 20 giorni a fronte di 3 anni e 4 mesi), Armando Carvelli (3 anni, 1 mese e 20 giorni a fronte di 3 anni e 2 mesi), Angelo Ucchino (3 anni, 1 mese e 20 giorni a fronte di 3 anni e 2 mesi), Salvatore Ucchino (3 anni, 7 mesi e 20 giorni a fronte di 3 anni e 8 mesi), Vincenzo Zera Falduto (2 anni, 9 mesi e 20 giorni a fronte di 3 anni e 2 mesi), Alessandro Primo Tirendi (6 anni, 7 mesi e 20 giorni a fronte di 6 anni e 8 mesi), Salvatore Giorgio (7 anni, 9 mesi e 20 giorni a fronte di 7 anni e 10 mesi), Salvatore Rigillo (7 anni, 1 mese e 3 giorni a fronte di 7 anni e 10 mesi), Orazio Romeo (3 anni e 10 mesi a fronte di 5 anni), Giuseppe Mercadante (3 anni e 1 mese a fronte di 4 anni e 6 mesi).

Le accuse contestate a vario titolo dalla Dda erano di associazione di stampo mafioso, estorsioni, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita in attività economiche, intestazione fittizia di beni, evasione delle imposte e delle accise anche mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, contraffazione e utilizzazione di documenti di accompagnamento semplificati. Per la Dda di Catanzaro una sorta di cartello tra clan avrebbe spianato la strada alla scalata verso l’oligopolio dei prodotti petroliferi. L’inchiesta avrebbe quindi svelato le «nuove tecniche di penetrazione della ’ndrangheta nell’economia». Affari che avrebbero visto come principale “azionista” la cosca Mancuso di Limbadi che, tramite due broker milanesi e un proprio emissario nel capoluogo lombardo era riuscita ad agganciare i vertici di un’azienda kazaka leader nel settore delle estrazioni, con cui si era tentato anche di realizzare un oleodotto nel Vibonese.

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