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'Ndrangheta in Emilia, Brescello in mano ai Grande Aracri: inflitte 13 condanne

L’inchiesta contro il clan cutrese. A Bologna la sentenza della Corte d’Appello sul processo “Grimilde”

«Francesco Grande Aracri è il vertice della 'ndrangheta in Emilia e ne detta le strategie». Adesso ne è convinta anche la Corte d'Appello di Bologna. Che ieri sera, al termine di una lunga camera di consiglio, ha comminato 13 condanne a conclusione del processo di secondo grado di rito ordinario scaturito dall'inchiesta "Grimilde" coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Bologna.

Ventiquattro anni di carcere sono toccati a Francesco Grande Aracri di Cutro, fratello del boss Nicolino. Una pena più elevata rispetto ai 19 anni e 6 mesi i reclusione che gli erano stati inflitti dal Tribunale di Reggio Emilia il 15 dicembre 2022, in primo grado. Il collegio presieduto da Luisa Raimondi, accogliendo il ricorso della Procura generale di Bologna, ha quindi riconosciuto a Francesco Grande Aracri il ruolo di capo indiscusso della cosca attiva a Brescello, non a caso ribattezzato Cutrello. Invece, a Paolo Grande Aracri, figlio di Francesco, i giudici hanno applicato 9 anni di detenzione che sono stati concordati tra accusa e difesa (in primo grado erano stati inflitti 12 anni e 2 mesi).

Con l'operazione "Grimilde" scattata il 25 giugno 2019 con 16 arresti eseguiti dalla Polizia di Stato, la Procura antimafia di Bologna si disse convinta di aver dato un ulteriore duro colpo alla cellula della cosca Grande Aracri di Cutro basata a Brescello. Le indagini avrebbero fatto luce sulle presunte «teste di legno» utilizzate dal clan per coprire gli affari illeciti, ma anche sulle estorsioni ai danni degli imprenditori, sulle truffe e sui rapporti opachi tra la ’ndrina di matrice cutrese con la politica locale. L’attività investigativa, sulla scia del blitz “Aemilia” del 2015, avrebbe svelato in che modo i Grande Aracri fossero riusciti a dettare legge anche a Brescello (primo Municipio dell’Emilia-Romagna sciolto per mafia). Infatti, nel comune raccontato dalla penna di Giovannino Guareschi si sarebbe manifestata «la vocazione affaristica» della ‘ndrina emiliana autonoma, ma pur sempre legata alla casa madre di Cutro.

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