«Milletrecentottantacinque giorni e quattro pronunciamenti della giustizia, a vari livelli, con un unico e granitico convincimento: il fatto non sussiste. Tanto ci è voluto per mettere fine ad un orribile incubo che ha sconvolto la mia vita e per spazzare via in maniera definitiva ogni dubbio, ogni minima ombra sulla mia persona, accusata ingiustamente - ora posso gridarlo al mondo - di un reato infamante per un uomo delle istituzioni, la contiguità con ambienti criminali. Dallo scorso 10 settembre la sentenza di piena assoluzione pronunciata nei miei confronti dalla Corte d’Appello di Catanzaro è stata dichiarata «irrevocabile», avendo la Procura della Repubblica rinunciato al ricorso in Cassazione». Lo afferma, in una nota, Domenico Tallini, ex presidente del Consiglio regionale ed ex assessore, coinvolto nell’inchiesta «Farmabusiness» su un presunto tentativo del clan di 'ndrangheta Grande Aracri di inserirsi nel commercio di farmaci.
«Finisce un incubo - aggiunge -, iniziato quella mattina del 18 novembre del 2020 quando, senza avere mai fatto nulla di male, mi è stato notificato un ordine di arresto ai domiciliari. Sono passati 1385 giorni ma non ho mai perso, neppure per un attimo, la fiducia nella Giustizia Vera, nella Giustizia Giusta, quella che non ha bisogno di una continua esposizione mediatica, magari per costruire brillanti carriere. Uno dopo l’altro i punti del teorema accusatorio sono stati ritenuti inesistenti dai vari giudici «terzi» chiamati a giudicarmi: il tribunale del riesame che ha annullato l’arresto, la Cassazione che ha respinto il ricorso del pm, il giudice monocratico e la Corte d’Appello che mi hanno assolto da ogni accusa con la formula più ampia prevista dal nostro ordinamento, il fatto non sussiste».
Tallini si dice «grato agli avvocati Ioppoli, Zimatore e Petitto che davanti ai vari livelli di giustizia hanno dimostrato la mia totale innocenza e la mia distanza siderale dai gruppi criminali che infestano la Calabria. Di questi 1385 giorni cosa resta? Restano - continua - le macerie e le ferite ingiustamente inflitte ad una famiglia. Resta la devastazione di un’esperienza politica che si è sempre alimentata del voto libero, trasparente, onesto e democratico di migliaia di catanzaresi e calabresi. Resta una macchia ingiustamente lanciata sull'istituzione regionale, colpita nel suo massimo esponente. Non ho mai usato la parola complotto in questi interminabili e dolorosi quattro anni, ma oggi non posso escludere a priori che qualcuno possa avere tratto beneficio da questa allucinante inchiesta. Certamente a qualcuno roderà la coscienza. I danni sono irreparabili.
Qualche giorno fa l’avvocato Gian Domenico Caiazza, già presidente dell’Unione Camere Penali, ha osservato che un’inchiesta in Calabria nel 2021 ha posto fine all’attività di un’azienda con 400 dipendenti. Tutti gli accusati sono stati assolti perchè il fatto non sussiste, ma nel frattempo l’azienda è stata distrutta e praticamente è irrecuperabile. Distruggendo ingiustamente la mia figura politica, un’intera classe dirigente fatta di bravi amministratori e quadri molto attivi, è stata demonizzata e messa in un angolo. Siamo proprio sicuri che la magistratura non si occupa di politica? I miei 1385 giorni di atroce sofferenza facciano riflettere tutti. Se ancora posso guardare con fiducia alla Giustizia Vera - conclude - lo debbo a magistrati che non si sono fatti abbagliare dalle luci dei talk show e tentare dal demone del giustizialismo mediatico, ad avvocati che credono nella loro insostituibile funzione, alla mia meravigliosa famiglia e ai tanti amici che non hanno mai dubitato di me, nemmeno un attimo, nemmeno nei momenti più bui».
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