Maneggiare la materia, ma nutrire anche lo spirito: restaurare il Baldacchino di San Pietro è un’esperienza unica. Parola di Giuseppe Mantella, il restauratore di chiara fama, originario di Isca sullo Ionio che, assieme a un’equipe di eccellenti colleghi, ha riportato l’opera del Bernini al suo splendore. L’opera è stata inaugurata domenica scorsa, dopo un lavoro lungo quasi tre anni (due per la progettazione e 9 mesi per la realizzazione) in vista dell’apertura della Porta santa il prossimo 24 dicembre per l’atteso Giubileo 2025. Con Mantella abbiamo ripercorso le tappe di questo lavoro.
Un progetto straordinario di cui lei ha fatto parte. Partiamo dall’inizio.
«È un progetto che il cardinale Gambetti della Basilica di San Pietro ha avviato in previsione del Giubileo 2025. La scelta di restaurare il Baldacchino e la Cattedra di San Pietro nasce da una programmazione di due anni. Per realizzare questo progetto hanno scelto cinque ditte di restauro accreditate, fra cui la mia».
Cosa c’è dietro un lavoro di restauro importante come questo?
«Vi è stato un lavoro di sinergia con l’archivio della Fabbrica di San Pietro, dove sono conservati i documento relativi alla realizzazione dell’opera, dei materiali utilizzati dal Bernini, della tecnica delle doratura, nonché lo studio di tutti gli interventi di restauro che si sono succeduti nel tempo - l’ultimo, pensate, risale al 1758 - e di tutte le manutenzioni che si sono succedute nei secoli. Un altro tassello fondamentale è stata la collaborazione quotidiana da parte della Fabbrica con i laboratori scientifici dei Musei Vaticani che hanno contribuito alle indagini sui materiali usati per la realizzazione dell’opera. Soprattutto sono state effettuare delle indagini sugli strati di sporco presenti sulla superficie e per preparare le giuste miscele di solventi per far tornare l’opera al suo splendore. È stata molto importante anche la parte tecnologica, con la progettazione e l’installazione di ponteggi che non gravassero sulla Tomba di San Pietro».
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