I décollages e i retro d’affiches degli anni '50 e '60; gli artypos degli anni '60 e '70, e poi nel decennio successivo i blanks e le sovrapitture, fino all’ultima fase, quella dei décollages monumentali degli anni '90 e 2000.
Non manca nulla del complesso mondo di Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 - Milano, 2006), e delle sue sperimentazioni tra astrattismo e figurativismo, nel grande omaggio che la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma - Gnam rende dal 30 ottobre al 10 febbraio all’artista calabrese a 100 anni dalla nascita. Curata da Germano Celant con Antonella Soldaini, la mostra ha un titolo emblematico, «Mimmo Rotella Manifesto», che trova una diretta corrispondenza nell’originale allestimento proposto per raccontare una carriera lunga più di 50 anni.
Le oltre 160 opere, in cui il linguaggio dell’artista si è focalizzato sul manifesto, vengono infatti presentate immaginando lo spazio museale esattamente come una «piazza» urbana, circondata da pareti o facciate di edifici: un luogo cittadino tutto da visitare, nel quale per il pubblico sarà «naturale» trovare grandi cartelloni pubblicitari, dal formato di 3 x 10 metri circa, composti dai lavori di Rotella, disposti dunque a «tappezzare» lo spazio.
Nei 6 insiemi-manifesto che compongono l’esposizione, il visitatore potrà conoscere con una visione d’insieme direttamente tutta l’opera di Rotella: a emergere sono le differenti tecniche adottate dall’artista nel corso della lunga carriera, l’impossibilità per lui di concepire l'arte senza la sperimentazione e anche quel suo lasciarsi ispirare dalla città di Roma, nelle cui strade andava a cercare manifesti da strappare, reinterpretare e ricomporre. Nel passaggio dalla dimensione astratta a quella figurativa, e dalla stampa e dal riporto fotografico alla pittura che il percorso «circolare» della mostra rende evidente, emergono le riflessioni dell’artista, e le sue fonti di ispirazione, la pubblicità e il cinema, gli avvenimenti sociali e politici, il tema erotico.
Proprio perché privo di qualsiasi impianto didascalico, ai visitatori sarà data una speciale «mappa» per andare oltre la visione complessiva e poter dunque leggere nel dettaglio l’allestimento, con le opere segnalate singolarmente. Fuori dal salone principale (in cui alcune bacheche documentano con fotografie, cataloghi, lettere disposti in ordine cronologico le collaborazioni dell’artista e il suo ruolo nel contesto storico culturale), due sale più piccole raccontano invece da un lato gli aspetti performativi (con filmati degli anni '50) e dall’altro i lavori scultorei (la serie dei Replicanti del 1990) di Rotella. «Non è mai stata realizzata una mostra in questa scala su Rotella: qui l’artista si vede a 360°, nella sua ricchezza e complessità», spiega oggi Germano Celant, raccontando un allestimento incentrato sul manifesto che è «una tautologia, una coincidenza dello stesso con lo stesso, una sorta di grande diorama anche per esprimere un’idea democratica. Il manifesto è democraticamente uguale in ogni punto, e non ci sono opere più importanti di altre».
«Il nostro è un tentativo di riproporre il mondo di Rotella per far scoprire un artista che produce non solo in qualità ma anche in quantità», prosegue il curatore, «è un modo diverso per allestire un’antologica: la mostra è un magma, un insieme di frammenti e rovine che hanno una storia».
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