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Piero Grasso a Trame: «Un libro dedicato a Falcone perché il suo sorriso non si disperda»

L’ex presidente del Senato parla alle giovani generazioni

«Ogni volta che parlo di Giovanni è un’emozione che rinnova un dolore e una ferita sempre aperta. Per me è sempre presente. È stato fondamentale nella mia vita, l’ha condizionata positivamente. Se sono diventato giudice a latere nel maxi processo contro la mafia lo devo a lui. Se poi ho continuato a fare il consulente della commissione antimafia e se sono entrato al ministero di Grazia e Giustizia, lo devo sempre a lui». L’amarcord è del giudice Piero Grasso, magistrato di lungo corso che negli ultimi anni è stato impegnato anche in politica ricoprendo ruoli di rilievo tra cui la presidenza del Senato della Repubblica; il “Giovanni” di cui parla è l’amico e collega Giovanni Falcone, magistrato ucciso dalla mafia nel 1992.

Ieri sera Grasso è stato ospite a Trame, il Festival dei libri sulle mafie che si sta svolgendo a Lamezia Terme. L’ex presidente del Senato, intervistato dal giornalista Enrico Bellavia, ha presentato al pubblico della kermesse letteraria il suo libro “Il mio amico Giovanni” dedicato a Falcone. Grasso rammenta il suo fortissimo legame con l’amico con cui ha condiviso anni di professione e di vita. Man mano che i ricordi riaffiorano alla mente gli occhi brillano, diventano lucidi. «Il giorno della strage – racconta il magistrato – dovevamo tornare insieme a Palermo ma per una pura combinazione io non salii su quell’aereo. Da allora vivo la sindrome del sopravvissuto; mi chiedo se avessi fallito al maxi processo, se non avessimo messo alla sbarra i capi della mafia, chissà se lui e Paolo sarebbero ancora vivi».

Il giudice Grasso spiega di aver scritto il libro «per le giovani generazioni, ho sentito il dovere di far conoscere Giovanni Falcone come l’ho conosciuto io perché – sottolinea - era una persona che amava la vita, la compagnia, le serate con gli amici. Vorrei che col tempo non si scolorisse il sorriso, l’entusiasmo di Giovanni di quando mi raccontava i suoi progetti. Di Giovanni mi mancano questi momenti di vita, di umanità». L’ex presidente del Senato tiene a puntualizzare: «Il mito dell’eroe oggi potrebbe sembrare quasi perdente ma non è così. I morti delle stragi mafiose hanno innescato una forte coscienza civile, di conoscenza del fenomeno mafioso. Giovanni – asserisce Grasso - non ha potuto completare la sua missione perché gli impedirono di diventare Procuratore nazionale antimafia. Noi abbiamo raccolto il suo testimone, la sua eredità che è grandissima. Io ho giurato che avrei portato avanti i suoi progetti e quelli di Paolo Borsellino e che avrei mantenuto viva la loro memoria».

Tra i tanti temi proposti ieri durante il festival anche quello su “Massoneria, mafie e sistemi criminali” su cui ha dissertato lo storico inglese John Dickie intervistato dal giornalista Vincenzo Spagnolo. Un exursus sulla massoneria mondiale e poi un focus sulle vicende della P2, la loggia guidata da Licio Gelli tra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta. E, ancora, dalle logge deviate a quelle legate a filo doppio con la ’ndrangheta. Dickie ha fatto riferimento in particolare al processo Gotha sui clan reggini e a delle frasi pronunciate dal boss Mancuso di Limbadi che avrebbe affermato: «Non esiste più la ’ndrangheta, c’è la massoneria». Secondo lo storico sembra che in Calabria su 32 logge esistenti 28 sarebbero controllate dalle cosche ’ndranghetiste. Per Dickie bisogna smetterla con la divisione manichea di innocentisti e colpevolisti; per evitare che proliferino le logge finte e quelle infiltrate bisogna aprire un dialogo chiaro con la massoneria ufficiale «perché altrimenti la cattiva fama attira le brutte persone».

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