“Armonie d'Arte Festival alimenta sempre di più i linguaggi artistici contemporanei, ritenendoli un motore fondamentale della nuova creatività globale; e questi, si sa, se non generano incanti, lasciano turbamenti o, per lo meno, inducono perplessità; se poi chi firma questi lavori è un'artista internazionale del calibro di Romeo Castellucci, l'esito ha sempre una profondità potente, che sia esplicita o sottesa; e che in ogni caso non lascia indifferenti”. Queste le parole con le quali il direttore artistico di Armonie d'Arte Festival, Chiara Giordano, commenta il Terzo Reich, la video installazione portata in scena al Teatro Comunale di Catanzaro da uno dei registi più importanti della scena nazionale ed internazionale del teatro contemporaneo.
Al termine della perfomance,nel buio totale, il pubblico era di fatto come ammutolito, confuso dall'inusuale situazione, restando in sala senza alzarsi per vari minuti; all'uscita poi, il forte impatto, positivo o negativo che fosse, era sui volti.
Quest'opera di Castellucci, con suoni ipnotici e invasivi di Scott Gibbons, coreografia e interpretazione di Gloria Dorliguzzo, realizzazione video di Luca Mattei in collaborazione con Giulia Colla, si basa sulla rappresentazione spettrale di tutti i nomi; una sequenza della totalità dei sostantivi del vocabolario italiano proiettati uno a uno; e lo spettatore è costretto a comprimere lo sguardo sul punto critico di fusione, poco prima della perdita dell’aggancio percettivo, nello sfarfallamento che sfugge alla netta distinzione dei singoli termini. Il frenetico e liminale susseguirsi delle parole fa sì che alcune di esse rimangano impresse nella corteccia visiva di ciascun spettatore; altre – la maggioranza – andranno perse. Lo spettatore, così, subisce la parola umana sotto l’aspetto della quantità: non il cosa, ma il quanto. L’affastellarsi frenetico delle nominazioni non lascia alcuno spazio alla scelta o al discernimento, e Il Terzo Reich è l’immagine di una comunicazione inculcata e obbligatoria, la cui violenza è pari alla pretesa di uguaglianza.
Non si è trattato di uno spettacolo normalmente inteso, con un'azione, un palcoscenico, e artisti che fanno qualcosa; ciò ha lasciato anche la sensazione di mancanza, e in qualcuno di bisogno di diversa collocazione del lavoro rispetto al contesto teatrale. Di certo sarà materia di dibattito per gli esperti di settore presenti, così come rimarrà nella memoria culturale ed emotiva dei fruitori tutti.
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