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Trame ha «fatto memoria» e rafforzato lotta e resistenza. Il Festival di Lamezia chiude in positivo

Nell’ultimo giorno la fulgida figura della giudice Francesca Morvillo, e le sofferenze di tanti familiari di vittime delle mafie

Una donna schiva, riservata, che non amava stare sotto i riflettori. Una delle prime donne a voler fare il magistrato, professione che fino al 1963 in Italia era preclusa al genere femminile; fece il concorso nel 1968 e per diversi anni scelse di fare il giudice minorile per aiutare il più possibile i giovani detenuti a ricostruirsi una vita, dopo aver scontato la pena.

A raccontare la vita di Francesca Morvillo, donna e giudice, moglie di Giovanni Falcone e morta con lui a Capaci, è stata Sabrina Pisu, ospite dell’ultima giornata di Trame, il festival dei libri sulle mafie svoltosi, con grandissimo successo, a Lamezia Terme.

Intervistata dalla giornalista del Tgr Viviana Spinella, la scrittrice ha presentato il suo libro «Il mio silenzio è una stella. Vita di Francesca Morvillo, giudice innamorata di giustizia», dedicato alla giudice uccisa nella strage di Capaci. Pisu ha rimarcato il fatto che la famiglia Morvillo non ha mai partecipato alle celebrazioni ufficiali per commemorare la strage ma che, ogni anno, Alfredo Morvillo, fratello di Francesca, preferisce andare nelle scuole e ricordare ai ragazzi chi era la sorella: i suoi ideali, la passione per la sua professione, il suo impegno nella lotta al crimine fino al sacrificio estremo. «Il silenzio della famiglia Morvillo – ha commentato la scrittrice – si traduce in impegno concreto e quotidiano; un valore che i parenti di Francesca continuano a difendere. Dopo la strage di Capaci alla madre di Francesca è stato offerto un cospicuo risarcimento che la signora ha rifiutato in cambio di una somma simbolica, diecimila lire, con la richiesta accorata che si facesse giustizia sul terribile accadimento che ha segnato la storia d’Italia».

Nella giornata finale di Trame13 si è anche parlato del libro di Luigi Ferro «Verità nascoste. Da Piazza Fontana a Moby Prince: la giustizia negata e i familiari delle vittime». L’autore, incalzato dalle domande di Marcello Ravveduto, docente all’università di Salerno, ha fatto emergere tutte le situazioni assurde e drammatiche che puntualmente vivono i familiari delle vittime di mafia o di episodi tragici su cui, dopo tanti anni, ancora la verità è “velata” da misteri. «Spesso – ha affermato Ferro – il familiare che chiede giustizia viene visto come un opportunista, un profittatore in cerca di risarcimento. In molti casi, oltre a non ottenere la verità sui fatti, le famiglie hanno dovuto pagare anche le spese dei vari dibattimenti processuali. Oltre il danno, la beffa». «Con i racconti dei familiari, facendo memoria – ha proseguito Ferro – si forma la generazione dei figli che deve scontare il lutto e che si batte perché quanto accaduto ai propri cari non cada nella profonda voragine dell’oblìo».

Molto partecipato l’incontro con gli scrittori Gabriella Genisi e Gaetano Savatteri, sul tema «Mezzogiorno noir», ovvero la forza delle narrazioni (come ben si è visto in questi giorni).
Anche quest’anno il festival ha potuto contare sull’apporto fattivo di decine di giovani volontari che, dopo sei giorni di manifestazione, si sono detti stanchi ma molto soddisfatti. «Questa edizione è durata un giorno in più rispetto alle precedenti – hanno sottolineato – noi ci siamo trovati benissimo perché l’organizzazione diventa sempre più particolareggiata. Trame aiuta a diffondere la consapevolezza, l’unica arma per battere veramente le mafie». Soddisfatti anche il direttore artistico Giovanni Tizian e il presidente della Fondazione Trame Nuccio Iovene, i quali hanno rimarcato la massiccia affluenza di pubblico e il grande entusiasmo registrato per la mostra «Visioni civiche», realizzata con le opere d’arte appartenute ai boss di potenti clan mafiosi.

Trame chiude con un bilancio più che positivo: ha “fatto memoria”, e rafforzato l’argine della lotta alle mafie.

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