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Festival Trame a Lamezia, la riflessione del procuratore Curcio: “Noi al servizio del popolo italiano”

A tu per tu con il Procuratore della Repubblica di Catanzaro, Salvatore Curcio, nella serata del secondo giorno di Trame Festival a Lamezia.
«Ho lasciato la procura antimafia dopo vent’anni nel 2012 – ha raccontato al giornalista Pietro Comito e alla folta platea in piazza San Domenico – e quella era un’altra epoca, un altro modo di concepire le investigazioni. Le risorse e le tecniche di oggi sarebbero sembrate fantascienza. Oggi si sarà più bravi, più avanzati nelle tecnologie, ma la tensione morale che si respirava in quegli anni non l’ho più respirata».
Essenziale, il dott. Curcio, sulla riforma della Giustizia. «Per un discorso molto articolato, dobbiamo fare ammenda anche noi giudici. Per tanti anni siamo stati un po’ arroccati sul nostro ruolo e sulla nostra funzione, uno dei peggiori difetti dei magistrati è credere di essere il centro del mondo, ma non è così, gli uffici giudiziari devono essere aperti ai cittadini, è importante far capire come e perché si agisce. Noi non esercitiamo un potere – ha aggiunto – ma una funzione pubblica al servizio del popolo italiano. La storia della separazione delle carriere è diventata un po’ una favoletta, cavalcata da strati dell’avvocatura, presentata come panacea di tutti i mali della giustizia, ma anche laddove si arrivasse a una separazione di carriere i tempi per un procedimento penale, le penurie di risorse e personale saranno sempre gli stessi».
Intenso anche l’incontro pomeridiano legato al libro edito Pellegrini, “Le mutazioni della ’ndrangheta”, insieme a tre dei quattro autori, John Dickie, Enzo Ciconte e Anna Sergi (il quarto è Roberto Violi), in dialogo con il giornalista Danilo Monteleone. Mutazioni della ’ndrangheta che seguono la società, forse, piuttosto che anticiparne i fenomeni, come è convinta, per esempio, Anna Sergi sottolineando quanto «non ci sia niente di speciale nella ’ndrangheta, come in tutti i fenomeni umani ci sono persone più capaci e meno capaci, persone che studiano e che non studiano. Le loro mutazioni seguono la società, come l’hanno seguita, per esempio, dal punto di vista dell’emigrazione».
Radici comunque profonde e, forse, in sostanza inalterate quelle della ’ndrangheta, come ricorda Ciconte: «La radice calabrese non viene smarrita, cambiano le forme in cui le cose avvengono, per esempio fino a vent’anni fa si poteva parlare di un’unica capitale, Reggio Calabria, oggi non è più così». Tema importante, le mutazioni, anche per John Dickie. Anzi, per lo studioso la ’ndrangheta «è cambiata tantissimo negli anni ma è importante non enfatizzare sempre la sua capacità di adattamento, di diventare sempre più forte, di anticipare tendenze. Cambia sempre negli anni, la ’ndrangheta, ma non sempre per diventare più forte, a volte anche per difendersi dalla repressione statale».
A partire dal narcotraffico attorno al porto di Gioia Tauro si sviluppa invece il podcast “Mare di Rabbia”, a cura della giornalista Francesca Berardi e della stessa Sergi. Un viaggio nel complesso territorio della Piana, passando anche per l’umanità di quei calabresi per i quali «la fiducia nelle istituzioni è quasi un bene di lusso» e che le autrici hanno raccontato con la giornalista di “Gazzetta del Sud”, Anna Mallamo.
La stessa Mallamo, con il suo recentissimo romanzo edito Einaudi, “Col buio me la vedo io”, è stata invece protagonista, nella bella cornice di Palazzo Nicotera-Severisio, di un reading serale con l’attrice Ada Roncone e in collaborazione con Mammut Teatro.

 

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